sabato 2 novembre 2013

Laura Guidetto







Osservando l'Infinito



Osservare alcune opere d'arte, almeno questo è ciò che mi capita a volte, può portare  in una dimensione molto vicina all'infinito. 
Di recente ho avuto la fortuna di poter ammirare al museo dell'Orangerie  "Le ninfee" di Claud Monet; la stanza ricoperta da queste  immense tele ti circonda, e tu, se hai la fortuna di arrivare in un orario "magico", di poco affollamento, sei immerso in quel sapore, in quelle immagini che il grande pittore impressionista, dipinse in una serie di 250 dipinti. 
 In quegli istanti di silenzio assoluto, puoi entrare  dentro quell'aria rarefatta e sentir vibrare i fiori bianchi fluttuanti, che insieme al cielo si muovono sulla superficie dell'acqua e ti avvicini almeno un po' a quell'infinito.
In un periodo di grande malessere sociale come questo, riuscire a rivolgersi alle immagini, ai sogni, alle fiabe, al mito, può risultare un'esperienza interiore importante; il poter fare appello al proprio mondo interno, ai sogni e quindi a dei codici vicino all'infinito, può aiutare nella ricerca del senso e del proprio percorso.
Molto spesso mi è capitato di ascoltare nei racconti delle persone, quanto un'immagine impressa nella  mente, sia stata la fonte di molte scelte anche poco razionali, ma in alcuni casi quella potenza è scaturita proprio dal linguaggio dell'immagine interiore che guida proprio in quella direzione. 
Come afferma bene J. Hillman in Saggio su Pan, il sogno, la fantasia e l'immaginazione delle arti possono trasportarci in un mondo mitico, dove valgono altre leggi, e dove è all'interno di noi stessi che possiamo realmente fare qualcosa. Ciò che facciamo con l'immaginazione ha per l'anima le stesse conseguenze del mettere in atto. Ogni comportamento è guidato dai processi immaginali e li esprime.
"Diveniamo più patologici quando non cogliamo, in questo o quel segmento della nostra vita, il fantasma presente in quello che stiamo facendo o il fatto che ciò che stiamo fantasticando sta avvenendo fisicamente, anche se in modo sottile e indiretto. Invece prendiamo le cose alla lettera, e la metafora, l'elemento che mantiene la vita psicologicamente intatta, si spezza. (...) Diventiamo meno patologici quando possiamo ripristinare l'apprezzamento metaforico di ciò che avviene." (J. Hillman, 1972.p.91) 
Seguendo il filo che corre tra le pagine dell'autore, arriva a dirci quanto sia importante riconnettere la fantasia con il comportamento, arrivando alla dissoluzione di quel letteralismo. 
Ma qui aggiungo una mia personale riflessione, connettersi alla fantasia non vuol dire inventarsi realtà inesistenti, in questo caso ci si potrebbe maggiormente avvicinare alla menzogna o anche eventualmente ad aspetti deliranti. 
Anche la fiaba può ricollegarci alle radici della vita, perchè parla lo stesso linguaggio sia degli istinti che delle emozioni.
Ogni situazione della nostra vita può essere vista o in un'ottica restrittiva o aperta sull'infinito, ravvivandola con il colore dei sogni o del mito.
A tal proposito ho pensato di riportare un racconto tratto dal libro di Patrick Fischermann "Racconti dei saggi che leggono le stelle" , da poco regalatomi da un "caro amico palermitano", affinchè non solo io ma anche tutti coloro che han voglia di tornare a guardare le stelle, spostino lo sguardo almeno un po' verso l'infinito.

I Guardiani del cielo
racconto zigano

" Gli zigani hanno insegnato a ballare agli orsi e questi hanno insegnato loro a leggere la volta celeste. Gli ursari dicono che i sacri bestioni hanno infuso la leggenda nei loro sogni.

Nei tempi lontani in cui la terra apparteneva agli animali, gli orsi vegliavano sull'eterna primavera. vigeva la legge  dell'aiuto reciproco: il lupo proteggeva la pecora e la gazzella dormiva tra le zampe del leone. Al minimo conflitto, il vento avvisava l'orso, e lui ristabiliva la pace. Ma ogni cielo ha le sue leggi. ben presto la saggezza degli orsi non riuscì a contenere le dispute. Si delimitarono i territori, si aguzzarono gli uncini, il freddo divenne pungente. Quando le bestie ritornarono in sè, era troppo tardi: il Sole s'era ritirato dalle radure e la morte per gelo colpiva nell'ombra. 
Due orsi alzarono il muso verso gli astri e si misero in cammino per cercare di salvare i loro piccoli: contavano di riportare indietro il Sole e di salvare la Terra.  Camminarono per tanti giorni quante erano le stelle sopra di loro. Avevano le zampe consumate e le pellicce coperte di brina. 
Un giorno salirono sulla montagna che toccava il firmamento. il toro delle nuvole, commosso dalla loro storia, li lanciò con una cornata ai venti del mondo: I quattro volti dell'aria soffiarono su di loro sollevandoli fino alla Luna. La sposa del Sole li informò che l'universo era in preda ad un grande scompiglio. Li pose in un campo di stelle dove era solito passare il Sole. questi venne, li riscaldò e mostrò loro la dimora di Colui-che-cambia-i-cicli. Il dio ariete li ricevette e li toccò sul muso. Guardate, disse, indicando due esseri ritti sulle zampe posteriori, l'uomo e la donna. Il Sole li porta con quattro stagioni. Sono nomadi. I vostri piccoli non moriranno più di freddo, vivranno nel cerchio-memoria dell'eterna primavera e del duro inverno. 
Quel giorno, l'Orsa Minore e l'Orsa Maggiore presero posto ai suoi lati nel cielo dei guardiani. 
Passarono gli eoni. orsi e rom erano consapevoli dell'influenza degli astri sulle creature. Gli uni grugnivano sotto il cielo, gli altri dicevano la buona ventura. Poi gli uomini cessarono di vivere in un cerchio: delimitarono i territori, aguzzarono gli uncini e cacciarono senza pietà orsi e zigani.
Ogni cielo ha le sue leggi e la canicola minacciò la Terra. A quel tempo un rom ripercorse la via degli orsi, camminò tanti giorni quant'erano le stelle sopra di lui, salì sul monte del firmamento. Il toro delle nuvole lo lanciò verso i soli, un grande scompiglio agitava l'universo. Il dio ariete lo toccò sulla fronte, gli confidò la meta del destino, gli mostrò la fine del grande ciclo e l'alba imminente.
Presto vedremo brillare l'uomo-stella e sapremo in quale mondo siamo entrati. Chi vedremo apparire, ai lati del Sole? "

Buoni sogni

mercoledì 2 ottobre 2013



Le Hermae sono tornate

A breve nuove proposte di lettura, laboratori e riflessioni da condividere





 
Posted by Picasa

venerdì 5 luglio 2013

ESERCIZI DI "MEMENTO MORI" - parte seconda

Camminavi fianco a fianco al tuo assassino…
(Fabrizio De André – “Se ti tagliassero a pezzetti”)

PAURA DELLA MORTE
Parla alla Morte ogni giorno, riconoscila in carne e sangue, ringraziala perché ti sta lasciando altro tempo  


  Ricordo un mio ex-collega, deceduto più di un anno fa, che poco prima di morire scrisse su Facebook una frase con la quale invitava la morte a lasciarsi guardare in faccia, a farsi conoscere, dal momento che ormai gli era chiaro che “quel momento”, l’attimo cruciale, si stava avvicinando. Quest’uomo avrebbe voluto essere ben sveglio e lucido per incontrare la morte definitivamente. La sua richiesta mi emozionò, poiché qualche giorno prima ero andata a trovarlo in ospedale e ricordo ancora perfettamente il suo sguardo, uno sguardo che mai dimenticherò. Il mio collega (al quale ero vicina in spirito creativo) sapeva che l’incontro con la Nera Signora sarebbe avvenuto di lì a breve. Il suo era uno sguardo rivolto all’ignoto, pieno di stupore. Oserei dire: profondamente stupito. Leggevo nei suoi occhi e nella sua espressione facciale una meraviglia di fronte agli eventi fino a qualche settimana prima ancora inattesi.

  Thauma è la meraviglia, è lo stupore di fronte al mondo che ci circonda con tutte le sue terribili cose, ed è anche, appunto, così come sottolinea Emanuele Severino, il terrore: secondo Aristotele nell’uomo antico è da Thauma che nasce la ricerca filosofica, il tentativo dell’essere umano di dare un senso alla vita e, soprattutto, alla morte.

  Quel giorno, poco dopo aver salutato il mio collega in ospedale (… non l’avrei mai più rivisto), ho raggiunto mio figlio, che all'epoca era nato da pochi mesi. L’ho guardato negli occhi e mi sono profondamente stupita di ritrovare in essi uno sguardo molto simile a quello del mio collega. Oserei dire identico. Mi sono spaventata e commossa. Lo sguardo di mio figlio era di certo quello dei neonati di fronte alle ombre della nuova vita, la meraviglia di fronte al nuovo. E’ per questo motivo che non dimenticherò mai l'espressione del mio collega; quel momento è universale, appartiene al senso dell’essere, e alla sua coscienza.

  Da qualche mese ho cominciato a plasmare la terra. Plasmare è dare forma concreta ad un’immagine mentale, è prima concepirla e poi partorirla mettendo le mani nell’argilla, fino a cuocere il manufatto passando “dal sogno alla realtà” (ndr. questa frase di C.G. Jung, il passaggio dal sogno alla realtà come necessario movimento per la consapevolezza ritorna nei diari di Anais Nin, una delle mie scrittrici preferite, come tematica di base per indicare il percorso che porta il creativo a produrre qualche cosa di vitale nella realtà concreta, e non soltanto ideativa, fantastica, simbolica… a me personalmente fa sempre pensare all’alchemica “Unio mentalis con il corpo”, la vivificazione delle spoglie del drago venefico, purificato…).
  Ho intrapreso un percorso specializzandomi “tecnico ceramista”, attività che sta cominciando a conferire nuove prospettive al mio lavoro come psicoterapeuta nei laboratori esperienziali, e a me stessa come creatura desiderosa di creare: dare realtà alle immagini del mondo interno.

  La via che dai sogni e dalle immagini archetipiche conduce a se stessi è un percorso che lo stesso Carl Gustav Jung ha vissuto in prima persona, tracciando la via individuativa.       
  Diventare se stessi è una faccenda concreta che unisce il simbolo alla realtà della vita.
Se vogliamo che i simboli siano vitali per noi dobbiamo riconoscerli incarnati nella nostra stessa esistenza.


  Le mani sulla pietra. Le mani nella terra. Penso alle sculture di Carl Gustav Jung, al suo giardino intorno alla torre di Bollingen. La torre da lui stesso costruita pezzo a pezzo e tanto amata. La torre, abitazione rustica. Per lo psicologo analista svizzero, il soggiorno tra quelle mura era un ritorno alle esigenze basiche della vita, un ritrovare se stesso nel ritmo della semplicità. Per un uomo abituato ad una vita più che agiata, vissuto a cavallo tra gli ultimi due secoli (1875-1961), occupato principalmente a riflettere, uomo dalla personalità profondamente intuitiva attratto più dall’anima e dalle relazioni interne che dalle relazioni sociali, il compiere gesti come accendere il fuoco a mano per cuocere il cibo e il ricercare l’assenza delle comodità molto probabilmente non era attività scontata.
  Il nostro attuale stile di vita, crisi economica che colpisce l'Europa (e non solo) compresa, il nostro tempo e il nostro spazio insomma ci offrono di certo ben diverse modalità per stare a contatto con la realtà della vita quotidiana. Non abbiamo bisogno di andare a cercare le scomodità e le difficoltà pratiche, diciamo. Il contatto con la realtà della creazione che si attua quotidianamente (creazione della vita e operare creativo) equivale simbolicamente al contatto con la terra e con la semplicità. Stare e operare nella realtà significa, io credo, lasciare che la fantasia si elevi ma senza il rischio di vederla incagliarsi in lontane stratosfere. La “terra” può nutrire il Puer e la Puella creativi, ma sappiamo che potrebbe divenire talamo mortale per lo spirito che si innalzi eccessivamente. Terra è concretezza di vita. Può essere fertile o meno. Deve essere lavorata ogni giorno. Ed è la vita brulicante che ci accoglierà dopo la morte.
  La terra: quella che per i sognatori, per gli idealisti e anche per molti pensatori e “simbolizzatori” (... quanti colleghi potrei facilmente annoverare nel gruppo al quale io stessa sento spesso di appartenere!) è spesso difficile accogliere come un valore effettivo. Finché la si osserva come un simbolo, associando ad essa miti e storie, siamo bravissimi a darle spazio, ma quando si tratta di costruire un reale rapporto con la realtà organizzativa del lavoro e della vita, trovo che spesso (... se penso, ad esempio, a certe riunioni d'équipe alle quali ho partecipato negli anni, dalle quali si emergeva regolarmente con tanto fumo e niente arrosto...) sia difficile scendere dalla volta celeste. Solo cercando un rapporto equilibrato tra il sogno e la realtà concreta dell’esistenza incarnata possiamo offrire alla vita lo spiraglio per un rapporto di dialogo sereno con la morte, e possiamo offrirlo a pazienti bisognosi di trovare uno spiraglio per non soffocare nelle paure.

  Ho le mani nella terra adesso. Non pensavo che cominciare a lavorare le argille (terra rossa, grès, terraglia bianca, argilla refrattaria, pirofila…) potesse offrire all’anima e al corpo una tale sensazione di benessere e completezza. Cuocere gli oggetti prodotti, estrarli dal forno dopo averli smaltati e scoprirli così diversi e inaspettatamente belli.

  Ogni giorno andiamo a braccetto con “nostra sorella Morte”, come magistralmente, nella semplicità della sua realtà, la definì Francesco d’Assisi. Ognuno con il proprio personale assassino, in compagnia dell’oscuro falciatore, ci svegliamo ogni mattina ringraziando di poter continuare la nostra opera. Nell’arcano numero XIII dei tarocchi marsigliesi La Morte non ha nome, forse perché di volta in volta assume il nome di ognuno di noi.
  A livello psichico, l’Io può fare i conti con la propria trasformazione, può accogliere la morte sul piano psichico e inevitabilmente si avvicina, lungo la strada individuativa, al centro della personalità totale. Ma, prima o poi, l’Io deve fare i conti anche con la morte concreta (e con-creata): quella delle persone e quella personale. L’Io deve abbandonare se stesso. Ogni giorno dunque ci prepariamo a questo passaggio finale, una strada che può durare anche diversi decenni, com'è noto e com'è, ovviamente, auspicabile.
  Sul tema della morte del terapeuta trovo che il romanzo “La cura Schopenhauer” di Irving Yalom (ed. Neri Pozza - è la storia di uno psicoterapeuta che scopre di avere un melanoma e un anno di vita davanti a sè... ) riesca a mettere perfettamente in luce il fatto che, spesso e volentieri, i terapeuti di qualunque formazione riescono a difendersi molto bene dalla realtà concreta della morte, evento che resta inconoscibile e tale resterà, al di là di tutte le ipotesi di lavoro, a meno che essi non operino per un’apertura congiunta di tutti i piani, non solo di quello simbolico, poiché la tanto ricercata elevazione dalla materia può diventare una difesa notevole dalla vita stessa. La simbolizzazione può essere altrettanto difensiva della materializzazione.
  Ma chi riesce davvero ad accogliere il senso ultimo della sua stessa vita contemplando anche il puro e semplice diventare terra e vermi fino a dissolversi completamente in una realtà altra, nella quale l'Io non avrà più voce in capitolo? Avendo paura di accogliere come un gemello sempre presente il nostro personale assassino ci spaventiamo per ogni malattia e naturalmente vogliamo evitare la sofferenza. Temiamo il piano delle cose nude e crude, il livello terra. Oppure lo ignoriamo. D’altronde il momento è sempre sbagliato: prima siamo piccoli, poi giovani, poi abbiamo un sacco di cose da fare come adulti e poi ci stiamo godendo la pensione.

  Spesso il nostro assassino vuole vivere tanto quanto la vita. Siamo noi a chiamarlo all’opera prima del tempo. Il suo compito è di starci a fianco. La mia bisnonna ha contrattato con il suo assassino per 108 anni. Lui avrebbe voluto arrivare a 120, ma lei si è stufata un po’ prima e allora lui l’ha uccisa nel suo letto regalandole solo un paio di mesi di sofferenza. Un assassino abbastanza disponibile, tutto sommato. Invidiabile, direi.

(augurando a tutti noi di campare 100 anni, l'articolo continua in parte terza)

lunedì 24 giugno 2013

ESERCIZI DI "MEMENTO MORI" - parte prima

Valeria Bianchi Mian

Esercizi di "Memento Mori" 
parte prima
(per non perdere il filo rosso
che potrebbe condurre dall’Apocalisse all'Apocatastasi,
filo riflessivo 
che avevamo cominciato a tessere qualche articolo fa -
vedi "La responsabilità di Noè")

 



  Eccomi a riflettere sulla morte mentre me ne sto seduta sotto le fronde di un ciliegio di fronte al mare. Potrei pensare ad altro, potrei pensare a qualche argomento più allegro, dirà qualcuno tra di voi.
  E invece no.
  Meditare sulla morte è un buon esercizio per apprezzare il mio stare qui, ad ascoltare il vento, seduta sotto le fronde di un ciliegio di fronte al mare.

  Ricordo un gruppo con adolescenti in una scuola alcuni anni fa, e i giochi sul tema del futuro. "Quale futuro?" La domanda emerse dal gruppo.
  Scenari di distruzione collettiva si aprono davanti ai nostri occhi bambini, e non solo nelle notizie della vita quotidiana, o nella realtà dei fatti. Se la televisione dedicata alla prima infanzia offre ancora qualche gesto tenero da osservare, appena usciti dall’abbraccio materno ecco giochi e videogiochi pregni di violenza, gentilmente offerti dal mondo adulto. 
  Ecco quel che vi aspetta. Cominciate a capire il prima possibile. Addirittura, se siete americani, la società dei consumi vi offre le armi vere, quelle che sparano sul serio, e con le quali potrete uccidere (piccoli animali, simulacri virtuali, o anche la sorellina, se i genitori per errore non vi controllano – come dimostrano recenti fatti di cronaca). Non c’è bisogno di essere bambini soldato in luoghi di conflitto per possedere un fucile. E se per legge nel vostro paese non è consentito vendere pistole vere ai più piccoli, ci sono sempre quelle giocattolo. Così in ogni caso potrete giocare ad ammazzare. Che cosa c’è di male?

  Provate a rispondere.
  Che male c’è a donare una pistola giocattolo ad un bambino?
  Voi cosa ne pensate?
  Potete commentare, naturalmente.

   Partiamo dalla violenza distruttiva, quella reale. L'Ombra galoppante della natura che si snoda tra i palazzi nelle città costruite per farci coraggio l'uno con l'altro.
  Un ballo in cui il dio Tifone, la dea Kalì, la nera signora con falce, e tutte le divinità dell'oltretomba si muovono a ritmo in quotidiani flash mob là dove meno ce li aspettiamo. 
  Gli dei dell'oscurità ci ricordano di non dimenticarli. Ci esortano a non svilirli facendo dei nostri occhi uno schermo piatto e insensibile, ci spingono a sentire la paura reale, a farci carico del nostro sentimento di attaccamento alla vita. Ci invitano a differenziare la realtà dai film horror.  
  Leggiamo terrori nero su bianco mentre sorseggiamo il nostro caffè: Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa. E' tutto un invito alla Totentanz, la macabra balera dello scheletro, un liscio con le vite dei giusti e con quelle dei corrotti: catastrofi, guerre, violenze.  Femminicidi. "Fratellicidi" (che ha un senso differente rispetto a fratricidio, neologismo con cui intendo dire: umani che si ammazzano tra loro). Stragi del bello.
  E poi, naturalmente, spettacoli e proposte per le sere d’estate. Notizie quotidiane alle quali siamo abituati come al gusto del caffè.
  Abituati? In parte è un’abitudine (d'altronde cominciamo da piccoli a vedere il mondo proposto dagli adulti), ma è un'abitudine che non ci lascia troppo abituare, se ancora in fondo in fondo ci stupiamo, ci indignamo di fronte allo sfacelo (ah, l’importanza di questo sentimento che ci tiene vivi con passione...), non riusciamo ad accettare il nostro mondo inquinato, radioattivo, sciolto come un cubetto di ghiaccio. Se speriamo. Se vogliamo vivere. Se facciamo figli. Se sentiamo sorgere in noi sentimenti ecologisti. Se educhiamo i nostri occhi alla consapevolezza. 

  Un ciliegio non basta a riparare dalle ombre che sono sempre con noi anche quando splende il sole (soprattutto quando splende).


Tarocco composto da piu' arcani
(La Morte qui è insieme alla Forza, e quet'immagine è davvero potente),
opera dell'artista Maura Banfo


  Memento mori, e vivi ogni giorno essendo almeno un po’ felice di essere consapevole.
La meditazione della morte è alternativa alla rimozione della morte”, scrive Claudio Widmann a proposito dell’arcano numero XIII. E' un percorso di consapevolezza utile a tutti, in questa società della Necrocultura (che è anche il titolo di un interessante piccolo saggio di Fabio Giovannini – Estetica e culture della morte nell’immaginario di massa - edito da Castelvecchi nel 1998).

  Rimuovere il pensiero della morte è, invece, lasciarle lo spazio di comparire un po’ ovunque, priva di nesso con il senso del vivere. Estetizzata. Promossa a starlette televisiva. Stuzzichino per cannibali del macabro, gli stessi che, armati di macchina fotografica e telefonino cellulare, se ne vanno in gita davanti alla villetta di Cogne, alla casa del delitto di Perugia, di fronte al garage dell’allegra famigliola che ha ucciso la giovane parente Sara Scazzi.
  Anche l’arte vuole la sua parte, e dalla sacralità dei secoli scorsi, in cui la nera signora per lo meno aveva un ruolo un po’ misterioso e a volte misterico, ecco che nell’esprimersi moderno s’ingegna l’artista che lascia morire un cane per farne opera d’arte, si esalta quello che attraverso la tecnica chiamata “plastination” (che somiglia un po’ alla trasformazione di un defunto in manichino e un po’ alla mummificazione) ci vorrebbe magari far superare l’orrore del cadavere e della fine che ci toccherà prima o poi. Già... Perché noi non dovremmo mai dimenticare e mai troppo ricordare che un giorno qualunque toccherà a noi. Speriamo tardi. Ma in ogni caso, ciò accadrà, anche se la medicina moderna, per quanto possibile, si accanirà per far resistere oltre la resistenza il nostro povero corpo.
  Meglio esserle amici, dunque. Meglio tenere presente che ogniuno di noi conduce il proprio personale assassino ogni giorno a braccetto. 

  “Questo percorso di consapevolezza va in direzione esattamente contraria rispetto ai tentativi di rendere il corpo immortale, imputrescibile, eternamente giovane” (C.W. p.268)
  
  Rimuovere la morte oscilla tra fascinazione della stessa e rifiuto. Se non puoi batterla, unisciti a lei, sembra pensare questa società del macabro patinato. Della violenza come sistema. Della fine globale annunciata. E’ possibile una via diversa per fare i conti con la Morte?
  La Morte, o troppo esposta, o troppo poco. Mai accolta con naturalezza.
(continua, a presto...)

sabato 25 maggio 2013

LE SCATOLE MAGICHE DI VALERIA E LAURA PER ADULTI+BAMBINI

Sabato 8 Giugno 2013
Dalle ore 14.30 alle ore 17.00
Presso la sede di Art Therapy Italiana
Via Sant’ Antonio da Padova 10  - Torino

Laboratorio ludico/creativo dedicato ad un adulto/a + un bambino/a


Le fiabe in scatola  nascono dal gioco, dalla narrazione corale che accende la voce delle immagini, e un’idea personale si fa strada attraverso il gruppo per condurre ogni partecipante verso il proprio castello, nella foresta nera, al di là dei sette mari. Combattere col drago oppure farselo amico? Ogni storia è una battaglia creativa che prende vita a quattro mani dentro un contenitore da portare a casa, da mettere in mostra, da regalare….
 Ancora una volta nasce il c’era una volta, e dentro le scatole si possono rivelare mondi che erano stati archiviati in qualche armadio, in soffitte dimenticate molti anni fa, vivificati nell’oggi con lo spirito del bambino che abita per sempre in tutti noi.


Per informazioni e iscrizioni via mail contattare:
Lauretta Guidetto : laura.guidetto@gmail.com; Valeria Bianchi Mian: bianchivaleria@katamail.com 
Oppure telefonare ai numeri: 333 2544620 – 347 9151162
Per sapere chi siamo potete visitare il nostro blog cercando in rete “Le Hermae” o copiando direttamente il nostro indirizzo http://le-hermae.blogspot.com

mercoledì 8 maggio 2013

Le Hermae partecipano a: "I colori dell'Anima" - 17 e 18 Maggio alla Legolibri di Torino


The Red Jung (terra rossa), Valeria BM

Le Hermae partecipano all'iniziativa:
"I COLORI DELL'ANIMA"

 Dal Red Book alle biografie immaginali
Mostra itinerante - esposta dal 1 al 31 Maggio 2013

Libreria Legolibri - Via Maria Vittoria 31 - Torino

UN PROGETTO
GAJAP - ASSOCIAZIONE ANALISI DI GRUPPO, PSICODRAMMA E INTERCULTURA SUI FONDAMENTI DELLA PSICOLOGIA JUNGHIANA
Groups Analythical Association for Intercultural Research on Jungian Psychology, Psychodrama
Full Member FEPTO (Federation European Psychodrama Training Organisations) Acc.EAP (European Association for Psychotherapy)
IAGP (International Association for Group Psychotherapy) Affiliate Organizational Member


Venerdì 17 Maggio ore 15.00
LABORATORIO DI TEATRO ARCHETIPICO

coordinamento Stefano Cavalitto - Eldo Stellucci 

 
Verranno rappresentati brani da:

"L’avventura di Jung- Romanzo Verità": Jung, Otto Gross, Sabina Spielrain - di Franco Livorsi Musiche di Paola Livorsi

"Ismene" di Adele Falbo

"Il sogno della strega che incendiava il letto"di Rossana Dedola


A seguire, la Tavola Rotonda: "Riflessioni su Teatro, Mito e Archetipi"

Partecipano Marina Manciocchi, Eldo Stellucci, Giulio Gasca, Alda Marini, Sissi Ceresa, Angela Sordano, Giorgio Girard
Coordinano: Marina Manciocchi e Stefano Cavalitto
Organizzazione: Wilma Scategni



Sabato 18 Maggio ore 10.30
LABORATORI A PIU' VOCI


Con presentazione di Wilma Scategni e coordinamento di Anna Romano
Ore 10.30    "Parole a colori- Il gesto, la narrazione, l'immagine: laboratorio di scrittura creativa e percorso di sperimentazione artistica attraversando le pagine del Libro Rosso di C.G.Jung", condotto da Laura Guidetto e Valeria Bianchi Mian

Ore 11.15      “Dal seme...all'albero” , piccoli  movimenti, e  poi composizioni immaginali con semi e colori,  condotto da Gaby Colombo

Ore 12.00     “ Lettera al Libro Rosso”, dialoghi con le parole, condotto da Anna Romano

La partecipazione è gratuita.
E’ raccomandato l’invio di una scheda di iscrizione a  (laura.guidetto@gmail.com ) in quanto i  posti disponibili sono limitati.

lunedì 15 aprile 2013



Presentazione Video del libro di Poesie e disegni di Chiara Beltrami


Legolibri 12 Aprile 2012









1° Parte



2° Parte





3° Parte


sabato 13 aprile 2013


Valeria Bianchi Mian e Laura Guidetto


Fiabe nate per rompere le scatole






I laboratori creativi La Scatola delle Meraviglie lasciano la parola all’immaginazione.
 Si parte in gruppo, osservando tante immagini: figure, disegni, stimoli visivi.
Il gruppo narra una fiaba, un passo a testa, ed è il primo passaggio. Trovare individualmente le sfumature della propria storia, dare un proprio finale o costruire una propria elaborazione della narrazione corale, e rappresentare il tutto con una creazione artistica “in scatola” è il secondo livello del laboratorio. E alla fine? Che cosa si produce? Provate a seguire il filo…

… dal laboratorio del 23 Marzo 2013, una storia.

C’era una volta
una fanciulla dotata di poteri magici, tra i quali la capacità di elevarsi sia sopra la terra che sulle acque. Questa fanciulla un giorno incontrò un ragazzo, un uomo dai molti occhi, un personaggio che viaggiava spostandosi proprio attraverso i numerosi punti di vista; egli viaggiava osservando tutto intorno a sé.
Lo sguardo dell’uomo dai tanti occhi era rivolto al mondo; lo sguardo della fanciulla era invece rivolto dentro di sé, forse troppo…  La fanciulla si sentiva chiusa, come prigioniera dentro una scatola. Da un piccolo spiraglio, lei prese ad osservare quello strano personaggio, e riflettendosi in lui, prendendo spunto, scrutando in profondità, la fanciulla si accorse che il luogo in cui si trovava non era solo una scatola, ma un labirinto. Come ogni labirinto che si rispetti, anche questo spazio aveva di certo una via d’uscita.
Contemporaneamente, da qualche altra parte, lontano dal labirinto, o forse vicino, un certo Francesco se ne stava in piedi davanti alla finestra, custode “immobile “ del proprio sogno. Se ne restava lì.
Nel labirinto, invece, la fanciulla camminò a lungo e incontrò un nuovo personaggio; una bambina che la aiutò a trovare la strada. Grazie a questa nuova compagna di viaggio, finalmente una via d’uscita si palesò.
Solo chi ha percorso il labirinto e nel procedere ha potuto guardarsi dentro, scopre un mondo senza chiusure, e può andare fuori dalla scatola… mentre Francesco continua a custodire il sogno…
La scatola è un contenitore definito, molto diverso dal foglio bianco sul quale una storia va a cominciare. Il contenitore chiude o protegge? Può essere prigione, labirinto, o uovo che prepara alla nascita. Il simbolo ha indubbiamente in sé la potenza creatrice e quella distruttiva, può attanagliare l’anima oppure aiutarla a liberarsi. L’utero soffoca il feto, lo stringe a sé, ma poi, con forza che ha in sé l’elemento Yang, lo libera, lo fa nascere, lo spinge fuori.
Il Vas degli antichi alchimisti era il ventre creativo dell’Opus, luogo chiuso, serrato, che impediva allo spirito di volatilizzarsi, ma dal quale prendeva forma il Lapis Philosophorum, l’oro come simbolo di totalità psichica.
Carl Gustav Jung presenta il vaso di Madama Alchimia in tutta la sua potenza simbolica, come luogo in cui il Re si trasforma, trasformando il ventre stesso della Regina madre, sposa, figlia. Gli opposti si congiungono nel vaso, e nello stesso spazio il Mercurio filosofico, operando attraverso la propria essenza di medium coniungendi, prima separa e poi riunisce, compie il processo, diventa, inventa il nuovo.
Se il significato simbolico dell’opera alchemica è la conoscenza di sé, certamente non basta una fiaba costruita in gruppo per rappresentare pienamente questo percorso, e noi psicoterapeuti sappiamo bene che un laboratorio creativo non è un lavoro clinico, né aspira ad esserlo. Lo spunto per accennare al percorso di trasformazione del’Io, però, è dato dal simbolo, che è vivo, e salta fuori dalla bottiglia, a volte, come il diavolo delle fiabe. Come il Mercurio alchemico, un contenuto simbolico è capace di comparire in piccole cose, quasi di soppiatto, e la sua voce può sussurrare da ogni voce, essendo indubbiamente qualche cosa di collettivo, ma anche di individuale. La traccia simbolica parla un linguaggio multiforme, un po’ come l’uomo della fiaba guarda il mondo con tanti occhi.  

Un’altra fiaba, anzi un mito, ma solo accennato… per riflettere.

Preso in debita considerazione, il contenitore, la scatola, il vaso alchemico delle nostre fiabe, si rivela labirintico. Come il vaso, il labirinto è passaggi e indovinelli, circonvoluzioni dell’intelligenza umana, richiama il cervello e le sue insenature, ma anche gli intestini pieni di mostri dietro l’angolo. Il labirinto è prova per iniziati, ma anche tomba per coloro che errando a vanvera, errano fino alla morte. 
C’era una volta Arianna,
una donna dedita a guidare il bel Teseo in lungo e in largo per tutto il labirinto costruito dal Re Minosse. Teseo, mitico eroe degno di gloria per aver sconfitto il Minotauro (ovvero il mostro divoratore di giovani umani, con il corpo metà toro e metà uomo) dopo l’impresa riuscì ad uscire dal labirinto, ma evidentemente non grazie alla propria intelligenza. Viene spontaneo domandarsi che fine avrebbe fatto senza Arianna. Occupata a guardare Teseo, naturalmente quest’ultima non si accorgeva di quanto il labirinto le chiudesse lo sguardo e la distogliesse da se stessa.
Nella fiaba del gruppo, qualcosa sussurra il nome di Arianna. Una novella Arianna, con il coraggio di cambiare. Niente più Teseo, che oltretutto nel mito abbandona la bella dopo essersene servito. Invece, un richiamo all’incontro con Dioniso che, “guarito” dalla follia, la sposa e la conduce con sé. Il personaggio di Francesco accennato nella fiaba viene ripreso infatti nelle scatole create, e si rivela importante proprio per comprendere la stessa fanciulla. Custodire il sogno è comprendere i sogni; è dar valore allo sguardo interno ed esterno.
Nel mito il femminile Arianna si sviluppa a partire dalla separazione da Teseo, viene in qualche modo riscattata dall’incontro con l’elemento dionisiaco. La coscienza di sé avviene come incontro con il dio, dopo l’abbandono.
Nella fiaba di questo gruppo, compare un femminile rivolto a se stesso, ma non attanagliato in sé, non in sé chiuso e concluso come un serpente che divora la propria coda, Uroboro che gira sempre in tondo. Il femminile che viene tracciato riguarda un po’ tutte le donne: rivolgendosi a se stesso, il femminile ritrova la bambina, una piccola nuova Arianna, guida però di se stessa, dell’adulta che diventerà. Il maschile può avere mille occhi e guardare fuori, ovunque, tutto e niente. Oppure restare custode del sogno, avvicinandosi magari piano piano, solo quando lei, fanciulla che cerca se stessa, comincia a riconoscersi…  

A tutte le donne che hanno voglia di raccontare fiabe.





giovedì 11 aprile 2013



Venerdì 12 aprile 2013 – ore 21.00

LEGOLIBRI psicoanalisi e dintorni contemporanei
via Maria Vittoria 31 - Torino - tel +39011888975


Presentazione del libroLe tre dimensioni della luce e dell’ombradi Chiara Beltrami.
Sarà presente l’autrice che  dal 2001  è attiva nel mondo artistico creando opere a pastello e carboncino sempre accompagnate da un testo poetico da lei stessa scritto, approfondendo così il suo interesse per il rapporto esistente fra concetti, emozioni e immagini.


Intervengono le Dott.sse Laura Guidetto e Valeria Bianchi Mian
(Psicologhe psicoterapeute : le-hermae.blogspot.com)






Il  fiume trasporta
una sfera di terra
fra braccia rosate
nella barca di luce.

                                                
Info e prenotazioni gratuite: artepsicologiapiemonte@fastwebnet.it – 011752920

IAAP – Arte e Psicologia – Sezione Piemontese
Sede: Via Giacomo Medici 11, 10143 Torino - Tel. 011752920
artepsicologiapiemonte@fastwebnet.it - www.insiemecon.com/artepsicologiapiemonte






martedì 2 aprile 2013


Laura Guidetto 

Sulle tracce di un femminile
II parte





Le descrizioni relative al Sabba, per Jules Michelet, (1959) sono mutate nel tempo, quelle più particolareggiate sono le più tardive. Fino all’anno 1000, i sabba notturni non furono che un vago resto di paganesimo, alle danze si mescolavano allegorie di vendetta, farse satiriche, beffe e caricature del signore e del prete. Perché diventi una guerra dichiarata al Dio di quel tempo, bisogna aspettare il secolo XIV, sotto il papato di Avignone, durante il grande scisma, solo allora il sabba assunse la forma grandiosa della Messa nera e dell’ufficio a rovescio.[1]
Eugenio Battisti (1964), sottolinea la convergenza delle descrizioni sulle cerimonie, date dalle accusate di stregoneria durante i processi. In molti casi la funzione  si svolgeva in luoghi aventi una lunghissima tradizione di culto, la scelta del luogo in genere non era casuale ma indicava un connessione stretta con la natura e che dalla natura stessa coglieva gli attributi del sacro; solitamente si radunavano in un bosco, su un poggio, o attorno ad un albero.
L’assemblea era accompagnata da banchetti, processioni, danze sacre, era la più elementare e diffusa forma di culto. Le donne erano solitamente le protagoniste, forse come sottolinea  Eugenio Battisti per un ricordo matriarcale, che sempre più è venuto a precisarsi in queste ricerche, anche se non era limitato solo a persone dello stesso sesso[2].
La “cerimonia”, solitamente avveniva in giorni fissi, anche ricorrenti, presumibilmente in un momento magico in rapporto con il sorgere della luna, o le sue fasi. Varie erano le fasi del rito, atto di prostrazione e presentazione alla regina (Diana, Erodiade..), il banchetto, l’accoppiamento, il tutto non doveva necessariamente seguire un rituale coerente, alcune fasi potevano essere sopresse o anche solo simboleggiate. [3]
Carlo Ginzburg, (1989) rileva come l’immagine del sabba emerse per la prima volta nella seconda metà del’300 ed espone alcuni elementi ricorrenti nella maggior parte delle descrizioni rilasciate. Tali considerazioni sono  ricavate dai processi di stregoneria, celebrati tra il principio del’400 e la fine del’600, da un capo all’altro dell’Europa. Stabilisce una connessione importante, tra l’arrivo del bacillo della peste[4], a metà del trecento e per il quale vennero accusati gli ebrei[5] quali responsabili dell’epidemia, ed una serie di reazioni a catena che si avvicendarono. Ossessione del complotto, stereotipi anticlericali e tratti sciamaici[6] si fusero insieme, facendo emergere  l’immagine minacciosa della setta stregonesca. Nel 1348 la peste dilagava, la gente moriva come mosche, individuare dei responsabili umani dava l’illusione di poter fare qualcosa per fermare l’epidemia, “Le teorie del complotto prosperano bene sul terreno dell’immaginazione”.[7]
L’emergere del sabba, presuppone la crisi della società europea del ‘300, le carestie, la peste, la segregazione o l’espulsione dei gruppi marginali che l’accompagnarono. Le trasformazioni in senso diabolico delle varie credenze si protrassero per decenni in tutto l’arco alpino.[8] Nell’immagine del sabba, Ginzburg quindi distingue due filoni culturali di provenienza eterogenea: da un lato, il tema elaborato da inquisitori e giudici laici, del complotto ordito da una setta o da un gruppo sociale ostile, dall’altro elementi di provenienza sciamanica ormai radicati nella cultura folklorica, come il volo magico e le metamorfosi animalesche. Ma questa fusione avvenne e fu così solida e duratura perché tra i due filoni vi erano profonde affinità. “Al fondo dell’immagine del complotto c’era un tema antichissimo, anche se rielaborato in termini nuovi: l’ostilità del morto recente- l’essere marginale per eccellenza- nei confronti della società dei viventi.”[9] In una società di vivi, i morti possono essere impersonati solo da coloro che sono inseriti imperfettamente nella società. La marginalità e l’imperfetta assimilazione accomunarono anche le figure che sul versante del complotto, furono gli antecedenti storici di streghe e stregoni: i lebbrosi[10] e gli ebrei, accusati  di contagiare i sani avvelenando i pozzi.
In molte culture è presente l’idea che alcuni animali come: colombe, gufi, donnole, serpenti, lucertole, succhino il latte delle mucche o delle capre, talvolte anche delle donne. In Europa, sottolinea Carlo Ginzuburg, questi animali sono generalmente associati alle streghe, o alle fate. Nella cultura latina, dove l’ostilità dei morti verso i viventi, la sete dei morti è espressa nella raffigurazione dell’anima sotto forma di uccello, di ape o di farfalla, tali immagini si fusero in quelle della strix[11].
Ginzburg, sottolinea come non sia difficile da immaginare che tra i potenziali accusati di stregoneria, le donne dovessero apparire, in particolare se di trattava di donne sole, perciò socialmente indifese, le più marginali tra i marginali. Ma oltre ad essere sinonimo di debolezza, questa marginalità rifletteva forse anche, in maniera più o meno oscura, la percezione di una contiguità tra chi genera la vita e il mondo informe dei morti e dei non nati.[12]
Inoltre, nell’analizzare il tema della marginalità, collegato alla “stregoneria”, Carlo Ginzburg (1989) traccia un largo affresco, partendo dalle figure marginali, quali capri espiatori di tensioni sociali diffuse.
L’elemento unificatore nelle ondate persecutorie, dove quello che si modificava era solo il  bersaglio, da lebbrosi-ebrei[13] agli ebrei, a ebrei-streghe, lasciando immutata l’immagine ossessiva del complotto[14]  ai danni della società.[15] “Analogamente ai lebbrosi e agli ebrei[16], stregoni e streghe si situano ai margini della comunità; la loro cospirazione è ancora una volta ispirata da un nemico esterno- il nemico per eccellenza- il diavolo. E dal patto stipulato col diavolo gli inquisitori e i giudici laici cercheranno sui corpi degli stregoni e delle streghe la prova fisica: lo stigma che lebbrosi e ebrei portavano invece cucito sugli abiti.”[17]
L’accusa di stregoneria, veniva incoraggiata dai vertici del potere ecclesiastico e statale, poiché consentiva con grande facilità l’eliminazione dei nemici politici. Era evidente non poter accusare chiunque di essere ebreo o lebbroso, molto più semplice era costruire la fama di strega o stregone.[18] l’Europa, politicamente stava vivendo l’incrinarsi dell’unità politica che aveva caratterizzato l’Europa cristiana fino a quel momento.
La crisi del ‘300 ebbe dei gravi risvolti economici e sociali, ma anche le carestie e le infezioni epidemiche furono devastanti.[19]
Per Carlo Ginzburg, vi è un terreno comune alla base delle accuse, prima di eresia e in seguito di stregoneria. Inoltre le donne essendo fortemente rappresentate nelle sette eretiche medioevali e la loro prevalenza in quei gruppi poteva aver favorito la loro successiva identificazione con le streghe stesse. [20]

Secondo Serena Foglia le descrizioni sul sabba rilasciate dalle streghe esprimono le condizioni esistenziali insostenibili, frustrate da rigidi e insovvertibili tabù sessuali, queste donne proiettavano nel sogno speranze liberatorie e desideri repressi nel loro inconscio. Il momento onirico, per lo più sollecitato da droghe allucinogene, quali la belladonna e l’acconito, tradizionalmente usati per la preparazione di filtri, si sostituivano dunque alla realtà, e come realtà veniva forzosamente considerato durante i processi[21]. Ernest Jones, nel suo scritto Psicoanalisi dell’incubo, ritiene probabile che i sogni avessero da sempre esercitato una profonda influenza sulla formazione dei pensieri allo stato di veglia, questo avveniva ancora di più nel passato, quando l’importanza attribuita ai sogni era ancora maggiore[22]. Spesso la vividezza di un sogno poteva ingannare chiunque, inducendo a confonderlo con fatti reali. Tale fenomeno era particolarmente frequente in tutte le esperienze in cui erano coinvolti intensi eventi emotivi, non solo nei sogni ma anche nelle trances da estasi e nelle visioni. Tale fenomeno ha avuto un’influenza maggiore in menti meno istruite, come quelle di bambini e dei primitivi.[23]

Per Ernest Jones, il significato alla base dell’esperienza dell’incubo, è della stessa natura presente in alcuni elementi della credenza popolare che per tre secoli la Chiesa Cattolica aveva fuso insieme all’ossessione del Diavolo, e “all’epidemia di stregoneria”. La Chiesa volle dimostrare come tutte le eresie  erano in sostanza confluite nel “culto del Diavolo”.[24] Jones ha cercato di spiegare l’influenza che ebbero le esperienze dell’incubo nel formarsi di alcuni falsi concetti, quali: l’incubo, vampiro, lupo mannaro, diavolo, streghe, tra loro infatti vi sono molti punti in comune. 
Generalmente veniva riconosciuto all’incubo un forte influsso sulla fantasia, maggiore di qualsiasi altro sogno; in particolare per la credenza negli spiriti maligni e nei mostri. Alcuni studiosi di mitologia fecero risalire la credenza degli spiriti all’esperienza dell’incubo.[25] “..L’incubo è  una forma di attacco di d’angoscia, dovuto essenzialmente a un intenso conflitto mentale che si accentra su una qualche componente rimossa dell’istinto psicosessuale, tipicamente sulla riattivazione dei normali desideri incestuosi dell’infanzia -, e, infine, che può essere suscitato da qualsiasi stimolo periferico atto a risvegliare, attraverso associazioni, questa massa di sentimenti rimossi” [26]
L’incubo è solo una varietà del sogno d’angoscia, la differenza essenziale è nel contenuto latente che risulta altamente stereotipato. Nei sogni d’angoscia, il contenuto latente è un desiderio sessuale rimosso, solitamente di natura incestuosa, nell’incubo si riferisce generalmente al normale atto sessuale.
Nel Medioevo l’incubo, veniva catalogato nel suo nome scientifico come un “demone libidinoso” che di notte visitava le donne, giacendo pesantemente su di loro e violentandole contro la loro volontà.[27]La credenza che potesse esservi un rapporto sessualetra esseri umani e esseri soprannaturali, era una delle più diffuse tra i popoli. La Chiesa, a quei tempi considerava gli incubi essenzialmente “demoni dell’inferno”, capaci di tentare il fragile essere umano.  L’esorcismo non aveva nessun influsso su di loro, differenziandoli per questo dai demoni maligni.
Pare che le più colpite da questi visitatori notturni fossero le donne, in particolare vedove, vergini e monache.[28]
Mircea Eliade, per comprendere il fenomeno della stregoneria ritiene necessario, data la complessità dell’argomento, rivolgersi al contributo di discipline quali il folclore, l’etnologia, la sociologia, la psicologia, e la storia delle religioni. Consultando documenti indiani e tibetani, si può capire come la stregoneria in Europa non possa considerarsi un’invenzione nata da persecuzioni religiose o politiche e neppure da una setta demoniaca devota a Satana e promotrice del male. I caratteri attribuiti alle streghe europee sono vantati fatta eccezione per Satana e il sabba, anche dagli yogi e maghi indo-tibetani.[29]
Una prova comparativa preziosa proviene da un processo analogo avvenuto nella regione italiana del Friuli, durante il XVI e il XVII secolo. Grazie a Carlo Ginzburg, si sa, che un culto popolare, quello dei “benandanti” si modificò progressivamente, sotto le pressioni dell’Inqisizione, finendo per assomigliare alla stregoneria tradizionale. Da un documento del 21 marzo 1575, viene riferito all’inquisizione della diocesi di Acquileia e di Concordia, che in alcuni villaggi, ci sono degli stregoni chiamati “benandanti”, che dichiarano di essere stregoni buoni, in quanto impediscono il male, mentre altri stregoni lo fanno. “Io sonno benandante perché vo con li altri a combattere quattro volte l’anno, cioè le quattro tempora, di notte , invisibilmente con lo spirito et resta il corpo; et noi andiamo in favor di Christo et li stregoni del diavolo, combattendo l’uno con l’altro, noi con le mazze di finocchio et loro con le canne di sorgo”. [30]
Come evidenzia l’autore al centro dei convegni notturni dei benandanti emerge un rito di fertilità, che si modella sulle principali vicende dell’anno agricolo; i benandanti si recano ai loro convegni a cavallo di lepri, gatti e altri animali e lo stato di letargo che precedeva le riunioni era simile a quello narrato dalle streghe durante le loro confessioni.
Il rito centrale è piuttosto enigmatico, il raduno non presenta i classici caratteri satanici, i benandanti muniti di rami di finocchio, combattono contro streghe e stregoni, armati di canne di sorgo.[31] Dichiarano di compiere il loro viaggio in spirito, nel sonno. Prima del viaggio cadono in un grande stato di prostrazione, una specie di catalessi, durante la quale la loro anima ha la capacità di abbandonare il corpo, sebbene compiuto in spirito è per loro reale.
Dopo 850 processi e denunce al Sant’Uffizio di Aquileia e Concordia, nel 1634, si arriva ad una testimonianza piena sul sabba diabolico tradizionale. Per effetto dei numerosi processi, i benandanti cominciano ad adeguare le loro confessioni a quelle che lo schema demonologico impose loro senza tregua. Dopo cinquant’anni di processi, si impose l’assimilazione dei benenandanti alle streghe.
Grazie a queste testimonianze Ginzburg, è riuscito a mostrare come un culto con caratteristiche nettamente popolari, come quello dei benandanti, si sia a poco a poco modificato sotto le pressioni degli inquisitori nelle vesti della stregoneria tradizionale. In questo modo è stato possibile assistere al sovrapporsi di una credenza “genuinamente popolare” ad uno schema colto, consentendo quindi la ricostruzione della mentalità contadina di quel periodo.[32]
L’autore illustra come, quasi in un secolo, partendo dai primi processi sotto le pressioni degli inquisitori, i benandanti si trasformarono in stregoni, e i convegni notturni per provocare fertilità nel sabba diabolico. “Per il Friuli, si può affermare con sicurezza che la stregoneria diabolica si diffuse come deformazione di un precedente culto agrario.”[33]Attraverso le battaglie notturne, combattute dai benendanti contro streghe e stregoni, è possibile vedere una versione simmetrica maschile, di un culto  per lo più femminile.
Le battaglie estatiche dei benandanti hanno lasciato tracce debolissime  sia nella letteratura canonistica che in quella demonologica. Gli Inquisitori, nell’unica zona in cui si trovarono di fronte a queste credenze, il Friuli, le ritennero una variante locale del sabba.
Le battaglie combattute in estasi per la fertilità non sono state un tratto culturale limitato all’ambito linguistico indoeuropeo. L’estasi, è stata identificata come un tratto caratteristico degli sciamani[34] eurasiatici (lapponi, samojedi, tungusi ) e anch’esse sono popolate di battaglie. Sprofondati in catalessi, uomini combattono contro uomini e donne contro donne: le loro anime si scontrano sotto forma di animali, di solito renne, finché una soccombe, provocando l’infermità e la morte dello sciamano perdente.[35] Come non pensare, sostiene Ginzburg, alle estasi dei benandanti. “E’ inevitabile concludere che uno stesso schema mitico è stato ripreso e adattato in società molto diverse tra loro, dal punto di vista ecologico, economico, sociale. In comunità di pastori nomadi gli sciamani cadono in estasi, per procurare renne. I loro colleghi, in comunità di agricoltori, fanno lo stesso per procurare-a seconda dei climi e delle latitudini-segale, grano, uva.” [36] In una società cristianizzata, la posizione di questi individui  era inevitabilmente più difficile, in questo modo Ginzburg, spiega la differenza tra l’estasi dello sciamano[37] che aveva un carattere collettivo e quella dei benandanti che avvenivano in forma privata.
Ma è proprio per queste  differenze di contesti culturali, che le estasi degli sciamani eurasiatici e quelle dei loro colleghi europei appaiono impressionanti. “Testimonianze frammentarie, lontane nel tempo e nello spazio, che mostrano ancora una volta la profondità dello strato culturale che abbiamo cercato di portare alla luce” [38]
Mircea Eliade, considera anche un’area diversa, trascurata dagli studiosi occidentali: le tradizioni folkloristiche rumene. In Romania è possibile trovare una cultura popolare arcaica sviluppatasi sotto un controllo clericale meno rigido di quello dell’Europa centrale e occidentale. Inoltre la Chiesa rumena, non possedendo un’istituzione analoga all’Inquisizione, non è atata sottoposta alla stessa censura. Malgrado il manifestarsi di eresie, in Romania non è mai esistita una persecuzione sistematica delle streghe.
La parola “strega” in latino[39] si diceva striga, in rumeno striga è divenuto strigoi.[40] Le strigoi nascono avvolte nella membrana amniotica e, divenute adulte, la indossano rendendosi in questo modo invisibili. Posseggono poteri soprannaturali: possono entrare in una casa con le porte chiuse, o trastullarsi con lupi ed orsi.[41] Le strigoi possono trasformarsi in cani, gatti, lupi, rospi e altri animali[42]. Si radunano fuori dai villaggi, in campi, oppure “alla fine del mondo, dove l’erba non cresce[43] Giunte sul posto, prendono forma umana e iniziano a combattere tra di loro con mazze, assi, falci e altri arnesi, la notte intera, alla fine si mettono a gridare e si riconciliano. Tornate a casa esauste, pallide, senza sapere cosa è loro accaduto, cadono in un sonno profondo. Non si conosce nulla sul significato o sull’oggetto di queste battaglie notturne, ma ricordano sicuramente quelle dei benandanti.[44]
Altro elemento importante, che può aiutare nelle comprensione del fenomeno, è quello relativo alle credenze legate alla dea Diana,[45]  e alle sue seguaci.
In rumeno, il nome della dea Diana[46] diventa zîna (< diana), che significa “fata[47].
Le zîne, ovvero le fate, rivelano nel loro stesso nome la discendenza da Diana, hanno un carattere piuttosto ambivalente, possono essere crudeli, tanto che è meglio non pronunciare il nome.[48] Le malattie provocate dalle fate sono curate efficacemente dal rituale coreografico e catartico di un gruppo di danzatori, una società segreta (Männerbund) chiamati căluşari[49]. Patrona di questa società catartica segreta è la “regina delle fate” (Doamna Zînelor), metamorfosi rumena di Diana. Questa regina delle fate è anche chiamata “Irodiada (= Herodiada) o Arada”, nomi famosi tra le streghe dell’occidente. L’istruzione si svolge nella foresta o in altri luoghi solitari, consiste in particolare nell’insegnamento di numerose danze, in particolare acrobatiche. I căluşari, sono armati di spade e di bastoni, hanno anche uno stendardo  su cui giurano di rispettare i costumi e le regole della compagnia.[50]  Lo scenario dei căluşari implica la fusione di idee e tecniche magico-religiose opposte, quantunque tra loro complementari,le tecniche catartiche dei căluşari sono basate su una coreografia specifica, che imita il modo di essere delle fate.[51]
La persistenza di questo scenario arcaico precristiano, trova la sua spiegazione sull’unione di principi antagonisti qui riuniti e riconciliati, malattia e salute, morte e fertilità trovando una personificazione nell’espressione della diade primordiale maschile-femminile.[52]
Questo getta una luce importante anche sulla stregoneria occidentale, non vi sono dubbi sulla continuità di alcuni importanti rituali e credenze pagane quasi sempre connesse con la fertilità e la salute, tali scenari mitico-rituali implicavano un combattimento  tra due gruppi di forze opposte, complementari, personificate in figure mitologiche (benandanti, căluşari,strigoi). Il combattimento tra i due gruppi era seguito da una riconciliazione, uno dei due gruppi opposti impersonava gli aspetti negativi dell’antagonismo, esprimendo  il processo della vita cosmica e della fertilità, la personificazione del principio negativo poteva essere interpretata come personificazione del male.[53] Questo sembra essere accaduto con le strigoi rumene, con le zîne, le fate che costituiscono però anche il seguito di Diana e, sotto la pressione dell’Inquisizione, con i benandanti. “In Occidente, comunque, il processo è stato molto più complesso, data la precoce identificazione di qualsiasi residuo mitico-rituale precristiano con le pratiche sataniche e, in definitiva con l’eresia(…) la caccia alle streghe ha radice in scenari mitico-rituali paragonabili a quelli sopravvissuti fra i benandanti italiani e nella cultura popolare rumena. In tempi di crisi religiosa o sociale, sotto la pressione economica  o ecclesiastica, tali sopravvivenze popolari possono aver ricevuto un nuovo orientamento sia spontaneamente che come riflesso dei processi dell’Inquisizione; possono essersi trasformate, nella fattispecie, in magia nera.”[54]
L’accusa classica rivolte alle streghe, sono le loro pratiche orgiastiche, descritte con poche varianti, questa monotonia diventa significativa se si nota che fin dall’inizio del XI secolo, esattamente la stessa accusa viene rivolta contro i diversi movimenti riformatori imputati di eresia. (p.96) Dei Catari si diceva si riunissero di notte  e dopo aver ascoltato un sermone e aver ricevuto i sacramenti eretici banchettassero e gozzovigliassero, la stessa accusa venne rivolta contro i Fratelli del Puro Spirito.





[1]Jules Michelet, La Sorcière,p.86

[2] Eugenio Battisti, La civiltà delle streghe.

[3] Ibid.,p.20

[4] Nel 1347, dodici galere genovesi provenienti da Costantinopoli sbarcarono da Messina. Tra le merci delle stive c’erano topi portatori del bacillo della peste. Dalla Sicilia l’epidemia si diffuse rapidamente fino ad investire quasi tutto il continente. Gli ebrei furono identificati come copevoli della pestilenza. Carlo Ginzburg, Storia notturna una decifrazione del Sabba,p.36
[5] Durante l’alto medioevo la propaganda contro la religione ebraica fu piuttosto scarsa, cristiani ed ebrei vissero per lo più in pace, fianco a fianco. Nel momento in qui gli eretici iniziarono ad essere considerati i servitori di Satana, intorno all’anno 1100, gli ebrei furono coinvolti nello stesso destino. La repressione coinvolse ugualmente eretici e infedeli, tipico il caso degli ebrei, visti come veri e propri outsider e che la mentalità popolare accomunava in molti tratti alle streghe. Marina Romanello, La stregoneria in Europa,p.13
[6] Ginzburg mostra come una parte importante del nostro patrimonio culturale provenga, attraverso tramiti che sfuggono, dai cacciatori siberiani, dagli sciamani dell’Asia settentrionale e centrale, e dai nomadi delle steppe. Senza questa lenta sedimentazione l’immagine del sabba non avrebbe potuto emergere. Carlo Ginzburg, Storia notturna una decifrazione del sabba.
[7] Ibid.,cit., p.38
[8] Ibid.,p.276

[9] Ibid.,cit.,p.281
[10] Nel 1431, quasi tutta la Francia vide uno sterminio di lebbrosi, molti furono imprigionati, altri bruciati; venivano accusati di spargere veleni per uccidere la popolazione. L’accusa sosteneva che i veleni venivano sparsi nelle  fontane, nei pozzi e nei fiumi con il fine di trasmettere la lebbra anche ai sani. I processi contro di loro si susseguirono, per la prima volta l’Europa aveva deciso un programma di reclusione così massiccio. Ginzburg, Storia notturna una decifrazione del sabba, Einaudi, Milano,1989
[11] Strix, stridulo uccello notturno assetato del sangue dei lattanti. Ma il termine strix veniva anche riferito alle donne che, erano in grado di trasformarsi in uccelli. Ibid
[12] Ibid.,p.282

[13] Agli occhi di molti cristiani queste “strane creature” divennero dei demoni sotto spoglie umane, dotati di poteri misteriosi e infinitamente sinistri. All’inizio del ‘300, la loro marginalità si trasformò in una vera e propria segregazione, con la creazione di ghetti. Storia notturan una decifrazione del sabba.
[14] Il mito dei servitori di satana, riapparve in un nuovo contesto, come il mito della cospirazione mondiale degli ebrei nel XIX secolo. Si è soliti pensare che l’ossessione antisemitica dei nazisti fosse una forma di razzismo particolarmente virulento, per Cohn tale opinione è errata. Al centro dell’antisemitismo hitleriano vi è l’idea che tutti glie ebrei, per miglia di anni dovunque si siano uniti nello sforzo incessante di insidiare, sovvertire e infine dominare il resto dell’umanità. Anche se nella mente di Hitler e nell’ideologia nazista questa idea appare ammantata dalla pseudoscientifica veste del razzismo, la sua natura è del tutto diversa.Nicolas Cohon, Il mito di Satana e degli uomini al suo servizio,in Mary Douglas, La stregoneria,Einaudi, Torino,pp.35-49,p.46
[15]Carlo Ginzburg, Storia nottirna una decifrazione del sabba.,p.45
[16] Intorno all’anno 1100, gli ebrei, come gli eretici iniziarono ad essere considerati servitori di Satana. Nel XII secolo, gli ebrei furono accusati per la prima volta di misfatti come l’uccisione rituale di bambini cristiani, torture all’ostia consacrata, avvelenamento dei pozzi. “Soprattutto, la gente cominciò a sostenere che essi adoravano Satana e che Satana in cambio li ricompensava rendendoli collettivamente padroni della magia nera.(…) essi venivano considerati possessori di illimitati poteri del male”(N.Cohon, Il mito di Satana e degli uomini al suo servizio,in: M.Douglas,1980, La stregoneria,Torino:Einaudi.pp.35-49,p.46.)

[17] Ibid.,cit.,p.46

[18]Marina Romanello, La stregoneria in Europa,p.14
[19] Ibid.p.14
[20] Brian P. Levack, The Whitch-hunt in Early Modern Europe,p.146

[21]Serena Foglia, Il libro delle streghe, p.54
[22] Da sempre l’uomo ha trattato il fenomeno onirico con una sorta di riverente rispetto; anticamente il sogno era considerato la diretta manifestazione della volontà degli dei o dei demoni e pertanto gli veniva attribuito un potere divinatorio e salvifico. Esso era interpretato come un tramite che connetteva con una realtà ultraterrena. “Nell’ingenua opinione di chi si sveglia, il sogno, se pure non proviene da un altro mondo, ci rapisce tuttavia, mentre dormiamo, in un altro mondo”  Sigmund Freud, Die Traumdeutung,Bollati Boringhieri, Torino, 1899, p. 28

[23] Ernest Jones, On the Nightmare, Liveringht Paperbound, New York, 1971

[24] Ibid.,p.10

[25] Ibid.,p.70

[26] Ibid., cit.,p.71

[27] Ibid.,p.71

[28] Ibid., p.79

[29] Anch’essi sono ritenuti capaci di spostarsi in volo per aria, rendersi invisibili, uccidere a distanza, dominare demoni e spiriti. Questi adepti di sette indiane, si attribuiscono e vantano di infrangere tutti i crimini e le orrende cerimonie citate nei processi alle streghe dell’Europa occidentale. Mircea Elide, Occultism, Witchcraft, and Cultural Fashions, Chicago 1976, , Trad. it: Occultismo stregoneria e mode culturali Saggi di religioni comparate, Sansoni Ed, Firenze.
[30] Carlo Ginzburg, I benandanti, Einaudi, Torino, 1966, cit.,p.10

[31] Se sono vittoriosi nei combattimenti delle quattro tempora, il raccolto di quell’anno sarà abbondante, in caso contrario si avranno miseria e carestia.. Hanno una bandiera di ermellino bianco dorata, quella degli stregoni è gialla con quattro diavoli dentro. Tutti hanno in comune il fatto di essere nati con la camicia, cioè avvolti nella membrana amniotica.Mircea Eliade, Occultism, Witchcraft, and Cultural Fashions, p.83
[32]Carlo Ginzburg, I Benandanti.
[33] Ibid.,cit.,p.XII

[34] In alcune parti della Siberia si diventa sciamani per via ereditaria; ma tra gli Yurak-Samojedi il futuro sciamano è designato da una particolarità fisica-l’esser nato con la camicia, come un benandante. Anche per gli sciamani l’inizio della vocazione è spesso accompagnato da disordini psicologici: un fenomeno complesso che in passato alcuni osservatori europei classificarono in senso patologico, parlando di “isteria artica”.Ginzburg, Storia notturna una decifrazione del sabba,p.150
[35] In Lapponia alcune saghe raccolte in età contemporanea descrivono due sciamani (no’aidi) che si battono in duello dopo essere caduti in estasi, cercando di attirare dalla propria parte il maggior numero di renne. Carlo Ginzburg, Storia notturna una decifrazione del sabba,p.149
[36] Ibid.,1989,cit.,p.149

[37] L’anima dello sciamano, trasformata in lupo, orso, renna, pesce, oppure in groppa a un animale (cavallo o cammello), abbandona il corpo esanime. Dopo un certo tempo, lo sciamano esce dalla catalessi per riferire agli spettatori del rito cosa ha visto, che cosa ha appreso, cosa ha fatto nell’altro mondo. Ibid.,p.150
[38] Ibid.,cit.,p.151

[39] Il rumeno inoltre essendo una lingua romanza, durante il medioevo non ha subito l’influenza del latino ecclesiastico e scolastico, rappresenta uno sviluppo diretto del latino volgare parlato in Dacia nei primi secoli della nostra era. Questo arcaismo linguistico aiuta nella comprensione della stregoneria europea.
[40] sia come strega viva che morta (sinonimo nel secondo caso di vampiro).
[41] Inoltre sono portatrici di epidemie per uomini e bestie, “legano” o sfigurano gli uomini, provocano  la siccità “legando” la pioggia, prendono il latte alle mucche, gettano il malocchio.
[42] Ibid.,p88
[43] Ibid.,p??
[44] Ibid.,p.89
[45] La società di Diana che si trova citata in tutta la letteratura ecclesiastica dai primi secoli dopo Cristo alla fine del Rinascimento. Queste donne, chiamate anche bonae foeminae,  praticavano una magia rituale, si riunivano la notte nei boschi per celebrere le loro cerimonie. Era credenza comune  che si introducessero nelle case volando, per banchettarvi, se accolte con cibo e musiche e danze, ricambiavano gli ospiti proteggendoli in salute e ricchezze, se l’ospitatlità non risultava adeguata, i malcapiatati, venivano puniti con scherzi malevoli. Serena Foglia, Il libro delle streghe,p.32
[46] Per i popoli di lingua romanza (Italiani, Francesi, Spagnoli, Portoghesi) i riferimenti medioevali e le credenze rituali concernenti Diana possono essere sospetti di riflettere la mentalità di monaci colti che avevano familiarità con fonti letterarie latine, ciò non vale per la Diana dei Rumeni. Mircea Eliade, Occultism, Witchcraft, and Cultural Fashions, p.89-90
[47] la parola zînatec che deriva dalla stessa radice di zîna, significa “sconsiderato”, “scervellato”, “matto”, cioè posseduto da Diana ovvero dalle fate. Ibid.,p.90
[48] Pur essendo immortali portano vesti bianche, hanno il petto nudo e durante il giorno sono invisibili, munite di ali, sono solite volare in particolare la notte. Amano danzare e cantare, nei campi dove hanno ballato, l’erba pare bruciata dal fuoco, chi le ha viste danzare, non rispettando certi divieti, viene colpito da malattia, tra i morbi provocati dalle fate, i più comuni sono le affezioni psichiche, reumatismi, epilessia, colera e la peste.Ibid.,p.90

[49] da cal , che in rumeno significa “cavallo”; (latino caballus)Ibid.,
[50] Giurano di essere come fratelli gli uni per gli altri, di osservare la castità per i prossimi (nove- undici o quindici giorni) non comunicare con estranei e di ubbidire al loro capo. Dopo il giuramento, in cima allo stendardo viene appeso un sacchetto con erbe mediche, non possono parlare, per timore, che le zîne li facciano ammaliare. L’attributo centrale dei căluşari è l’abilità acrobatica coreografica, in particolare, la capacità di danzare e danzando dare l’impressione di volare. I loro salti, alludono al galoppo del cavallo, ma allo stesso tempo alle danze delle fate. I danzatori richiedono e contano sulla protezione di Herodiada, ma allo stesso tempo rischiano di diventare vittime del suo seguito (fate). Per circa due settimane i căluşari vanno in giro per villaggi e casolari, accompagnati da duo o tre violinisti, suonando, danzando e, in caso curando le vittime delle fate. Si crede che durante lo stesso periodo,(dalla terza settimana dopo Pasqua alla Pentecoste) le zîne volino, cantino, danzino in particolare la notte. Si possono udire i loro campanelli e cembali ed anche altri strumenti musicali; hanno infatti al loro servizio violinisti, zampognari e perfino un alfiere. La protezione più efficace contro le fate è costituita dall’aglio e dall’essenzio, le stesse piante magico-mediche, che stanno nel sacchetto in cima allo stendardo dei  căluşari. Se due gruppi di căluşari si incontrano, ingaggiano una violenta battaglia, quando il gruppo fa ritorno al villaggio, la drammatizzazione finale viene chiamata guerra; lo stendardo viene piantato a terra e un căluşar si arrampica sull’asta, gridando: “guerra, gente, guerra”. Ibid.,p.92

[51] Ibid.,p.94
[52] Ibid.,p.
[53] Ibid.,p.
[54] Ibid.,p.95