mercoledì 19 dicembre 2012

ANIMA ANIMALE

Valeria Bianchi Mian
Jung amava gli animali. E tutti noi?
Una riflessione sulla responsabilità di Noè nella cultura dell’Apocalisse

Qualcuno lo deve dire!
(Valeria Bianchi Mian)

Esperimenti di tortura: tutti quanti siamo scimmie.

Non lo so se ci siete o no. Forse pulite davvero i tappeti. Se è così siete fortunati, vivrete una lunga e felice vita. Ma se siete voi scienziati ad ascoltare lasciate perdere, dimenticate l'esercito delle dodici scimmie: loro non c'entrano. C'è un errore, è stato qualcun altro. L'esercito delle dodici scimmie è solo un gruppo di imbecilli che giocano a fare i rivoluzionari. Sentite, la missione è compiuta, ho fatto come volevate. Buona fortuna. Non tornerò indietro.
(da: “L’esercito delle dodici scimmie”, regia di Terry Gilliam, 1995)
  


Nonostante i “culti dell’Apocalisse”, è quasi certo che nessuno, tra gli animali umani e non, i vegetali e i minerali, assisterà alla totale “fine del mondo” nei prossimi giorni.
Nonostante i soliti decessi più o meno naturali, le innumerevoli guerre in atto, la crisi economica, le catastrofi in arrivo e gli eventi mondani attesi per la fine dell’anno, la vita sulla terra probabilmente continuerà a riprodursi fino a… quando.
Nel 2011 la popolazione umana mondiale ha raggiunto i sette miliardi di abitanti (dati Onu).
La popolazione umana mondiale attesa per il 2040 è di nove miliardi (con un aumento esponenziale degli elementi anziani). Un dato inquietante, ben più realistico del diluvio universale o delle asteroidi previste per questo venerdì, 21 Dicembre 2012.
In ogni caso, è meglio tenerci pronti perché la via della psiche non segue necessariamente il piano di realtà, ma il filo dei simboli. Se a livello dell’inconscio collettivo si stanno da tempo tracciando le linee dell’Apocalisse, un motivo di certo ci sarà, e piuttosto che scappare è meglio porsi in ascolto.
Dal punto di vista simbolico, scrisse nel 2002 Edward Edinger (analista junghiano americano, allievo di Esther Harding, studioso che ha dedicato la propria ricerca alla “funzione religiosa dell’anima” – Diane Cordic, in “Psicologia analitica contemporanea”, Bompiani, Milano, 1989), siamo tutti intrigati dalla distruzione globale; siamo nel mezzo di un cambiamento epocale, un movimento di energie mai visto dopo il crollo dell’Impero Greco-Romano. Nell’inconscio collettivo c’è un incremento di forze che stanno diventando molto potenti, ed è importante coglierne la portata, perché sono così distruttive da rendere reale il rischio della fine della nostra specie (“Archetype of the Apocalypse, Divine Vengeance, Terrorism and the End of the World”, Open Court Publishing, 2002).
Secondo l’autore, se vogliamo andare oltre il rischio della “caduta” globale, dobbiamo addentrarci nel simbolo. Nella realtà del nostro mondo psichico dobbiamo riconoscere e comprendere l’Archetipo dell’Apocalisse con tutto ciò che esso significa, individualmente e anche collettivamente.
L’Apocalisse (di “Giovanni”, probabilmente lo stesso autore del quarto Vangelo) significa (Libro della) “Rivelazione” (apokalypsis), ma che cosa o chi va rivelandosi? Le pagine bibliche sembrano lasciare intendere che per tutti coloro che avranno fiducia, l’Apocalisse porterà al trionfo di Cristo stesso, al Sé che si rivela. E il “Sé – con tutti i suoi fenomeni tumultuosi- porta con sé non soltanto energie trans personali spirituali, ma animali”, scrive l’autore. Questo processo che tocca luci ed ombre estreme va compreso nella sua pienezza confusa di energie, e nella violenza simbolica che attualmente sta attraversando il mondo degli uomini. Solo cogliendo il significato di rinnovamento simbolico che questo archetipo rappresenta nella psiche contemporanea, nell’inconscio collettivo degli abitanti dell’oggi, forse potremo partecipare della trasformazione in atto in modo non passivo, salvarci l’anima e progredire.
Dopo l’Apocalisse, dunque, una nuova Genesi? (note al paragrafo 1.)

Mi piacerebbe cominciare qui sul Blog una serie di riflessioni partendo da questo movimento epocale e dalle possibilità di “mettersi in gioco” che lo spirito del tempo offre a tutti noi. 
Ci sono riflessioni che stiamo sviluppando, Lauretta Guidetto ed io: il maschile e il femminile, le immagini simboliche (tra queste, i tarocchi) e la creatività, le scatole come contenitori di fiabe, ma nessuno di questi argomenti in realtà è in contrasto o si discosta da quest’ultimo mio intento… Nel contempo invito i lettori all’approccio del libro di Edward Edinger per approfondire il tema.  

Vorrei adesso introdurre un argomento, che in parte è altro, e in parte è connesso all’Archetipo dell’Apocalisse in quanto appartenente a quelle che Adam Parfrey, giornalista “estremo” e figura di punta della controcultura americana, chiama le “Culture dell’Apocalisse” (nota 2), ovvero la tendenza alla violenza come prassi, e le abitudini legate al persistente consumismo mascherate da comportamenti collettivi normali, pregni di inconsapevolezza.
Tra i vari piani che si possono toccare e analizzare rispetto a questo momento storico (che è anche un momento della storia dell’inconscio collettivo) così pregnante, mi interessa cominciare a considerare  alcuni aspetti della violenza quotidiana nel rapporto dell’uomo con gli altri animali; una violenza che sembra aumentare così come aumentano altre forme di violenza contro i “più deboli”, gli uomini stessi, “altre” etnie, le donne, i bambini. Ad esempio basti dare un’occhiata ai dati del 2011 rispetto alle aggressioni sessuali sulle donne in Italia sul sito  www.telefonorosa.it. Questa violenza quotidiana, comunemente accettata in quanto spesso strutturata, si accompagna ad una crescita dei comportamenti collettivi di tutela nei confronti degli animali stessi.
Perché voglio parlare di questa tematica?
Quale necessità ho, proprio adesso, di portare un po’ più di coscienza e di responsabilità da parte dell’uomo all’interno del suo rapporto, sia a livello psichico che concreto, con le altre bestie?
Scrive James Hillman: “La psicologia ha un debito particolare nei confronti degli animali, se è vero che essi sono il sistema simbolico primordiale, e se la psicologia non ha completamente dimenticato che anche noi siamo animali, mangiamo con le unghie e coi denti, soffriamo la sete, ci accoppiamo e attacchiamo al seno i nostri piccoli, sporchiamo con le nostre deiezioni punti prestabiliti e andiamo soggetti a varie emozioni, al panico, alla lussuria, all’amore del nido, alla curiosità.
(nota 3)

Vi sembra un argomento futile? Cosa c’entrano l’uomo e l’animale dopo aver accennato all’Apocalisse come Archetipo di cui prendere coscienza oggi? Con tutti i macelli (appunto) che stanno accadendo! Proprio per via degli eccessi dell’uomo.
Dell’Ombra animale reietta.
Delle violenze verso i più deboli, e i più deboli di tutti sono proprio, insieme ai bambini, la moltitudine degli “altri animali”, ultimi anelli della catena di soprusi e abusi da parte dell’essere umano appollaiato sul trono del mondo.
“La Bestia” uomo (e anche donna): ecco una bella tematica apocalittica da approfondire anche nei prossimi articoli. L’uomo che si è discostato dalla Natura fino ad arrivare, spesso, a credersi Dio. L’uomo, “simia dei”, che è anche uno degli epiteti del diavolo. (nota 4)

La relazione dell’uomo con gli altri animali è sempre stata contraddittoria. Sin dall’inizio del mondo l’uomo ha cercato di sentirsi diverso dalla bestia che è sempre e comunque rimasto, nonostante la neocorteccia. Nato nudo, o meglio, con tre peli addosso, per sopravvivere al gelo è stato costretto a ricoprirsi di pelli altrui; troppo spesso facile preda delle fiere, ha dovuto ingegnarsi per costruire armi simili ad artigli e zanne e a cacciare. Mano a mano che egli prendeva fiducia in sé e nella propria “intelligenza”, mano a mano che la coscienza di sé andava strutturandosi a partire dall’inconscio, l’uomo diventava in grado di costruire spazi e tempi su misura per se stesso, uomo pastore, uomo allevatore.
Nei secoli, il suo rapporto con le altre specie animali si è sempre più strutturato nel senso di un potere agito con più o meno rispetto, e uno sfruttamento verso l’altro: potersi nutrire con la carne delle bestie, potersi vestire e creare oggetti con la loro pelle, poterne sfruttare la forza-lavoro, poterle usare come compagnia e divertimento.
Solo negli ultimi due secoli c’è stato un inizio di cambiamento, un collettivo bisogno di rendersi protettori anche dei più deboli non umani: la nascita di movimenti di tutela e salvaguardia degli animali.
cani diretti al macello e al mercato delle pellicce in Cina


Nel 1871 è Giuseppe Garibaldi il Padre fondatore della “Società Reale Per la Protezione degli Animali” su richiesta di una nobildonna inglese, Lady Winter. Si tratta della più antica società animalista conosciuta in Europa, ed è un gruppo di persone che si occupano di “proteggere” gli animali con la vigilanza dell’osservanza delle leggi e dei regolamenti e con iniziative per promuovere la coscienza.

Il gruppo oggi si chiama ENPA: “Ente Nazionale Protezione Animali”.  

Il WWF è nato negli anni ’60.

Greenpeace all’inizio dei ’70.
La Lega Antivivisezionista LEAL alla fine degli anni ’70.
Movimenti e gruppi animalisti nel 2012 sono diventati innumerevoli: basti osservare le pagine di Facebook e di altri social network, i siti internet, i Blog tematici. Alcune di queste organizzazioni a volte sconfinano in estremismi e si fanno promotrici del pensiero secondo cui l’uomo è l’unica e vera bestia, nel senso diabolico del termine, elemento da disprezzare senza possibilità di appello, per il quale si auspica una “meritata” cancellazione dalla faccia della terra, mentre agli animali è destinata la parte di creature perfette. In ogni caso, più o meno tutte queste formazioni lottano concretamente contro l’aumento dello sfruttamento degli animali da parte del sistema produttivo consumistico, contro l’organizzazione degli allevamenti intensivi di animali da carne e da pelliccia, contro la caccia senza regole, e contro l’aumento di violenza da parte di singoli uomini sadici o di gruppi di giovani (che spesso utilizzano internet per scatenare la rabbia mostrando al pubblico, e agli stessi animalisti, le proprie imprese da serial Killer. I casi si sprecano: cani e gatti bruciati vivi, fatti a pezzi, o comunque maltrattati e postati in video su “You-Tube”). Gli animalisti si fanno agguerriti, si connettono e agiscono contro le persone che maltrattano gli animali, e anche contro la società che maltratta gli animali. Anche grazie ai social network si diffonde a macchia d’olio una reazione emotiva forte che tocca intimamente sempre più individui.  

E ancora, per tracciare gli ultimi scorci di una breve ma esaustiva panoramica: l’utilizzo degli animali per scopi (pseudo) medico-scientifico, la vivisezione. Questa pratica continua ad essere sulla cresta dell’onda, nonostante da più fonti siano indicate le possibili alternative di ricerca, alle quali vengono forniti scarsi finanziamenti pubblici. La vivisezione è un argomento importante per gli animalisti. La Direttiva Europea del 2010/63 UE, documento ambiguo e superficiale in ogni suo punto, con tutte le “aperture” all’utilizzo senza anestesia di animali di tutti i tipi, compresi cani e gatti randagi, primati anche in via di estinzione, e per qualsivoglia scopo, ha suscitato polemiche vivissime anche in alcuni scienziati. La vivisezione non è un “male necessario”, si legge sul sito della LEAL: “è un male e basta”.
L’utilizzo di animali ai quali vengono tagliate le corde vocali perché i ricercatori possano operare senza fastidi e senza anestesia è pura barbarie. Animali zittiti e abusati sui quali sperimentare la cura per il cancro non sono la nostra salvezza dal cancro. Nonostante le prove della scarsezza di risultati forniti da certi esperimenti siano dichiarate, e le alternative esistano (cito solo alcuni siti che si occupano dell’argomento)
molte persone continuano a credere che la sperimentazione sugli animali sia fondamentale. Difficile rinunciare a certi business?    

In “Ricordi, Sogni, Riflessioni” Jung accenna al proprio personale rapporto con la vivisezione durante gli anni universitari: “Questa materia mi ripugnava profondamente a causa della vivisezione che veniva praticata per soli scopi dimostrativi. Non potei mai liberarmi della sensazione che le creature a sangue caldo fossero affini a noi , e non fossero solo degli automi dotati di cervello; di conseguenza, sempre che mi fosse possibile, evitavo le lezioni dimostrative. Mi rendevo conto che si dovessero fare esperimenti sugli animali (all’epoca, è evidente, non era ancora possibile scegliere tecniche alternative, ad esempio virtuali, di dimostrazione), tuttavia la dimostrazione di tali esperimenti mi pareva orribile, barbara, e soprattutto superflua. Avendo abbastanza immaginazione, mi bastava una semplice descrizione per raffigurarmi i procedimenti dimostrativi. La mia compassione per gli animali non derivava dagli elementi buddistici della filosofia di Schopenhauer, ma poggiava sulle più profonde basi di un atteggiamento primitivo dell’animo, sull’inconscia identità con gli animali: allora, naturalmente, ero del tutto ignaro di questo fatto psicologicamente importante.” (nota 5)

Ma proseguiamo, stavo tracciando una panoramica. Gli scorci possibili sono molti, vediamone solo alcuni ma che siano necessari per avere una visione d’insieme.
Come non nominare gli allevamenti intensivi, vere e proprie fabbriche di produzione di animali da macello e una delle principali fonti dell’inquinamento mondiale. Galline, tacchini, conigli, maiali, mucche vivono in gabbie o in spazi piccolissimi, perennemente esposti alle luci artificiali, imbottiti di farmaci e di mangimi non sempre ben identificati (ultimamente si sta riprendendo in esame la possibilità di nutrire gli erbivori con farine animali, poiché la memoria dell’uomo tende all’Alzheimer e si fa presto a dimenticare la “mucca pazza”…). Gli allevamenti sono luoghi di reificazione dell’animale, in cui non esiste più la vita ma la “cosa”, il feticcio che serve a soddisfare il nostro bisogno (davvero c’è tutto questo bisogno?) di carne. Carne per nutrire la popolazione mondiale e anche, non dimentichiamoli, gli animali domestici stessi (l’industria di cibo per animali da compagnia è un enorme business, e questi animali sono spesso trattati, con un bel meccanismo di scissione, quasi come umani, quindi in ogni caso sono “de-animalizzati”).

Una moderna fabbrica allevamento di galline ovaiole (capita anche negli allevamenti biologici): un’operaia vede scorrere sul nastro davanti a sé i pulcini appena nati. Controlla velocemente e violentemente il sesso del pulcino. Le future galline ovaiole vengono gettate in un recinto. I pulcini maschi vengono gettati, vivi, dentro una macchina tritura tutto (gli orrori della produzione di uova…). Nessuna emozione. Nessuna partecipazione mistica. E’ la norma. Molti siti si occupano di questo argomento, e sembra che tantissime persone non siano al corrente di quanto accade al loro “uovo” prima di raggiungere la tavola.

cani scuoiati vivi in Cina

Cosa fa la differenza?
Posso uccidere il pulcino che non conosco (o comprare uova provenienti da allevamenti in cui i pulcini maschi vengono triturati vivi ogni giorno, ovvero il 90% dei suddetti allevamenti) e contemporaneamente ballare al ritmo del tormentone estivo “Il pulcino Pio” o far sentire ai miei figli la canzone dello Zecchino d’Oro “Il pulcino ballerino” che fa tanta tenerezza perché non vedo la mia scissione?
Posso mangiare il coniglio che non conosco, ma non il coniglio che mi fa compagnia proprio perché ho dell’affetto per lui, e per me non è un coniglio vero? Funziona come il rapporto d’affezione del Piccolo Principe per la volpe, “quella” volpe che ha addomesticato?
C’è da riflettere.
Posso indossare un giubbotto bordato di pelo che al 99% proviene dalla Cina ed è stato importato in Europa nonostante i divieti fittizi, pelo che probabilmente apparteneva ad un cane, e posso andare a spasso con il mio cane indossando quel giubbotto bordato di pelo di cane perché questo cane non è quello, e io quello non lo conoscevo?
Che cos’è?
Un gioco di specchi d’Ombra?
Nonostante l’Ombra, c’è un movimento nuovo della luce, un aumento della richiesta di cibi biologici, carni comprese, un fatturato che in Italia è triplicato negli ultimi tre anni (Adnkronos), e la formazione di gruppi di consumatori che organizzano, insieme, acquisti consapevoli; è una tendenza che va di pari passo con l’aumento del rispetto per l’ambiente e degli animali stessi da parte di molte persone, un atteggiamento che fa “intelligenza ecologica”. (nota 6)
Torno alle ombre che mi circondano: un orrore tra gli altri è il sistema di produzione delle pellicce e degli inserti di pelliccia, con le gigantesse Cina e Russia in testa, un mercato che trascina e seduce l’Europa.
Depiliamo i nostri corpi e ci ricopriamo di pelo altrui. Bisogna avere, bisogna possedere qualche cosa di peloso per essere alla moda, per essere al passo con i tempi, nonostante la crisi. Il consumismo è stato annoverato tra i “nuovi vizi” (anche se adesso non è più tanto nuovo), ed è anch’esso persistente. (nota 7) Non dobbiamo più vivere nelle caverne, né difenderci dal gelo nelle case dell’800. Abbiamo riscaldamenti (inquinanti) e nuove fibre da indossare. Eppure ci ricopriamo di pelliccia. Il bisogno è diventato mera estetica, e l’estetica, si sa, spesso non ha cuore. Quando non è la pelliccia intera a ricoprirci, è l’inserto. Troviamo inserti di pelo animale sulle borse, sui cappelli, sulle sciarpe, addirittura sulle penne e sui portachiavi, nei giocattoli per gatti e cani (ad esempio i topini ricoperti di pelo di coniglio, o di gatto stesso – “Ma tanto proviene tutto dalla Cina”… “A noi lo vendono così”… frasi pronunciate da una commessa di un negozio di animali), giocattoli tipo peluche ma fatti di pelo vero, come il gattino di pelo di gatto che potete vedere nell’immagine qui sotto.



Come se qualcuno togliesse la pelle a una donna per poi ricoprire con questa il corpo di una bambola e ci invitasse a dire che il risultato finale è bello. Il massimo della scissione, direi. Ma questo atteggiamento da serial killer permea l’inconscio collettivo.

A questo punto capite perché avevo voglia di parlare di animali?

Il business delle pellicce supera i 1500 milioni di euro di fatturato annui, nonostante la crisi (Italia, 2011 – dato Adnkronos, da Simone Pavesi responsabile LAV, Campagna Antipellicce). Per lo più questi inserti di  pelo, come tanti altri oggetti, provengono dalla Cina. Conigli, cani, gatti, procioni, volpi vengono allevati in condizioni estreme (al gelo, senza un appoggio per le zampe che non sia una rete metallica che taglia la carne) e poi scuoiati vivi. Vengono prelevati dalle gabbie in cui sono stati per mesi, ammassati in altre gabbie piccolissime e trasportati su motorini o piccoli camion fino al macello. Qui subiscono, da vivi, il taglio delle zampe, per permettere alla pelle di scorrere via meglio, e dopo una botta in testa vengono appesi a ganci che “tirano” il corpo, una sorta di macchina della tortura (ricordiamo che sono ancora vivi), e scuoiati con tutta calma con un coltello. Ci sono fotografie che mostrano l’operaio intento a fumare una sigaretta mentre compie il lavoro. Molti di questi animali hanno ancora la forza di rialzarsi da terra, a opera conclusa. Reazioni di tremore e movimento dei globi oculari durano fino a dieci, venti minuti dall’estrazione della pelliccia. Poi, finalmente, la pietosa Morte. Naturalmente i cadaveri non sono “carne da tavola”, nemmeno i conigli, e vengono gettati via o bruciati. (nota 8)

Ora, mi dispiace che qualche anima inconsapevole si possa sentire offesa da queste tematiche, e mi dispiace soprattutto se qualcuno di voi, cari lettori, possiede un giubbotto con cappuccio con bordo di pelo (a volte sull’etichetta del vostro giubbotto non è scritto il tipo di pelo, ma al 99% la sua provenienza è cinese, anche se il vostro capo è di marca, e l’importazione non fa la differenza). E’ probabile, dal momento che questo tipo di indumenti è indossato almeno dal 70% delle persone che vi girano intorno.
E’ davvero un fatto generalizzato, ma non tutti sono a conoscenza di come vengano prodotti questi inserti. Molte persone credono che il bordo del loro cappuccio sia “ecologico”: costa molto meno un bordo di pelliccia vero, ed è per questo che gli “scarti” si trovano facilmente sul giubbotti da stock, mentre i “pezzi migliori” su quelli di marca. Ma è la stessa storia.

togliere la buccia e togliere la pelle: alcuni pensano che sia lo stesso...

Chiuderei in bruttezza questa panoramica con una visuale allargata sulla continua distruzione dell’habitat di specie protette per gli scopi delle multinazionali e per gli interessi dei pochi. Ovunque è violenza in nome della produttività dell’inutile: ancora oggi gli elefanti vengono uccisi per l’avorio, i rinoceronti per il corno, e chi più ne ha più ne metta. Un esempio relativo ad un’organizzazione, per non dilungarci e poter almeno tentare una riflessione. Gli oranghi indonesiani decimati per l’olio di palma “necessario” per produrre il Kit Kat, fondamentale barretta al cioccolato della Nestlé: bruciati vivi, costretti ad abbandonare il loro territorio, il tutto per uno snack. Qualcosa, però, sta per cambiare... vedi nota 9.
Un esempio solo?
Lasciatemi dire che ne potrei fare molti altri e tracciare una mappa mondiale di abusi.
Se non è scenario apocalittico quanto ho descritto sinora… Il bisogno di spazio, tempo, cose, del divoratore umano supera la nostra immaginazione. Consumismo come vizio, abbiamo detto; consumismo che rende infetto l’inconscio collettivo, parafrasando Luigi Zoja in una recente intervista.
Alla domanda dell’intervistatore circa la perdita dei valori cristiani di riferimento da parte dell’uomo occidentale, Luigi Zoia risponde: C’è, per quanto riguarda la società, un inconscio mito di crescita infinita come soluzione a tutti i problemi, per quello che riguarda l’individuo una specie di corrispondente mito della giovinezza infinita, si pensi al fitness, alla chirurgia estetica, alla medicina sia estetica che preventiva e riparativa di tutti i mali. Direi che dal punto di vista junghiano il posto occupato dalla religione, ovvero nell’individuo dalla ricerca del Sé - per rimanere alla terminologia di Jung - viene oggi sostituito da questi inconsci miti moderni estremamente semplici e rozzi. In fondo si tratta di una laicizzazione della onnipotenza divina. Abbiamo in qualche modo introiettato Dio, la società ha introiettato Dio e quindi può crescere all’infinito e fornirci sempre più beni, e anche noi crediamo di poter vivere “sempre più all’infinito”. (nota 10)

Abbiamo introiettato Dio. Abbiamo così tanto introiettato Dio che, oltre a voler crescere all’infinito vogliamo distruggere all’infinito, perché siamo anche in parte artefici della distruzione che lo stesso Dio biblico si impegnava a fare mandando sulla terra il diluvio universale, prima, e l’Apocalisse, poi.


La responsabilità del vecchio Noè


Narra la Genesi che Noè, figlio di Lamech, a sua volta figlio di Matusalemme, era un uomo “giusto e senza difetti”, mentre il mondo era “corrotto, dappertutto c’era violenza. Dio guardò il mondo e vide che tutti avevano imboccato la via del male. Allora disse a Noè: “Ho deciso di farla finita con gli uomini! Per colpa loro infatti il mondo è pieno di violenza. Voglio distruggere loro e anche la terra.
La storia continua con l’ordine della costruzione di una grande e robusta nave a tre piani coperta da un tetto.
Io farò venire una grande inondazione”, continua il Signore, “per distruggere tutti gli esseri viventi. Tutto ciò che si muove sulla terra perirà.
Con l’aiuto di Noè, una coppia di ogni specie animata sarà salva. Il compito di Noè e quello di farsi carico di ogni elemento vivente prendendo con sé “gli altri”, prendendosi cura delle specie che necessitano di protezione da parte dell’uomo.
Noè è il saggio salvatore della vita, l’ecologista estremo, il pirata che conduce in salvo le scintille del futuro, un capitano Achab non distruttivo il cui unico scopo non è quello di uccidere la balena bianca ma di salvare il salvabile. Se l’elemento Noè fosse acceso in ognuno di noi, probabilmente il nostro rapporto con gli animali e con la nostra stessa animalità sarebbe diverso. (nota 11)

Non è più tempo di “elevarci” sopra la natura costruendoci neocortecce di difese. E’ tempo di rispolverare le zone ancestrali del nostro cervello, di ricordare chi siamo annusando un po’ intorno, riattivando la nostra memoria entorinale. Riscoprire il mondo sotto la copertura di profumi firmati. E’ tempo di tornare a sentire l’intima connessione con la natura, non più nel senso dell’inconscia identità (nota 12) che nel nostro processo di sviluppo abbiamo interrotto e “superato” per lasciar emergere una coscienza sempre più eroica, per permettere alla coscienza solare di evolvere… fino all’estremo, ma nella direzione di un’alchemica “unio mentalis con il corpo”, di una “discesa” consapevole e tesa a vivificare ciò che abbiamo precedentemente ucciso. (nota 13) 
Così come gli dei sono andati perduti, o si sono ammalati, e sono finiti in cura grazie a Jung, a Hillman, a tutti coloro che li hanno ricercati e ritrovati, anche la relazione con le nostre parti “semplicemente animali”, una relazione relegata nell’Ombra e impregnata di distacco, di sfruttamento, di violenza e reificazione o, anche di “umanizzazione della bestia” (si sprecano le ditte di vestitini alla moda per cani) ha bisogno di cura.  

Elementi di sacrificio attraversano il racconto biblico di Noè: la distruzione generale di tutte le creature che non sono salite sull’Arca, la stessa azione cruenta di Noè, il quale dopo il diluvio brucia alcuni animali sull’altare perché il Dio biblico possa donare fecondità agli uomini, agli animali stessi, alla terra.
Il filo rosso che accompagna il tutto va oltre il sacrificio simbolico della “parte” e salva il tutto ricreando l’alleanza con il Sé- un patto che viene stipulato tra Dio e tutte le creature, una promessa di rispetto suggellata dall’arcobaleno (Genesi 9,12). Il filo rosso è anche il senso di responsabilità di Noè. Responsabilità del proprio compito verso Dio, verso il Sé. Il compito del Sé per l’uomo Noè è prendersi cura di tutti coloro che gli sono vicini emotivamente, ovvero la sua famiglia, e anche di una coppia di ogni specie animale presente sulla terra. 
Ne “Animali nel sogno”, James Hillman “vuole tentare di dar corso all’ordine divino di salvare gli animali nella nostra ecologia psichica, di mantenerli in vita, di accoglierli benevolmente, chiedendo loro, come faremmo con un visitatore che bussasse alla nostra porta di notte: Chi sei? Vieni da molto lontano? E cosa vai cercando qui? Sì, puoi entrare, sei il benvenuto- e benvenuti voi, scarafaggi, granchi, orsi polari, elefanti. Farò posto per voi nella mia intelligenza, perché avete già trovato la via che porta alla mia anima attraverso i sogni. Volgerò verso di voi la mia intelligenza e vi concederò il rispetto dei miei pensieri più profondi.
E ancora: “Come possiamo capire noi stessi in quanto esseri umani se non abbiamo familiarità con le loro immagini e i loro comportamenti nelle nostre anime? Cosa fanno con noi, e noi con loro, nell’intimità più profonda che ci sia, nei sogni? Certo c’è di meglio che osservarli a distanza nei parchi naturali, negli studi scientifici, nelle gabbie degli zoo, nelle foto patinate e nei film sulla natura.
Balzano fuori da quelle lontananze per ritrovarsi nel nostro letto al buio. E’ qui che possiamo incontrarli ogni notte, non chiamandoli, ma rispondendo alla loro chiamata. Il presente libro vorrebbe contribuire ad aprir le braccia al loro arrivo e ritardarne la partenza. (27 gennaio 1991)” - (Prefazione di “Animali nel sogno di James Hillman - Cortina Editore, 1999)
Ma… gli animali veri?
Se è vero che affrontare la propria Ombra libera aspetti di sé non considerati prima. Se è vero che prendersi cura della propria Anima si riflette per l’uomo nel rapporto con le donne reali, relazioni che migliorano di conseguenza, e il prendere in considerazione il proprio Animus porta la donna a migliorare la propria relazione con gli uomini reali (nota 14), allora è da dire che prendendosi cura del proprio animale interiore e di tutta l’arca, l’uomo che accoglie il proprio Noè può migliorare la relazione con gli animali e con l’animalità.

In “Ricordi, sogni riflessioni” Jung rievoca il proprio sentimento: «Amavo tutti gli animali a sangue caldo, che hanno un’anima come la nostra e con i quali ci comprendiamo d’istinto, perché essi sono così vicini a noi e partecipano della nostra ignoranza. Siamo accomunati a essi da gioia e dolore, amore e odio, fame e sete, paura e fiducia – da tutti gli aspetti essenziali dell’esistenza, a eccezione della parola, di un’acuta coscienza, e della scienza. E sebbene come tutti ammirassi la scienza, capivo anche che da essa nascevano l’alienazione e l’aberrazione del mondo di Dio, e che essa provocava una degenerazione dalla quale gli animali erano immuni: gli animali erano cari e fedeli, immutabili e degni di stima, ed era negli uomini che più che mai avevo sfiducia.».

Il tema “animali” torna ovunque nell’opera di Jung, se si considera l’elemento simbolico; torna nelle immagini archetipiche dei testi alchemici, nei miti di ogni popolo, nelle religioni del mondo, nei sogni della notte, nelle fantasie. Nel procedimento alchemico la materia si trasforma attraversando fasi che hanno a che fare con rappresentazioni animali. Si passa dal livello ctonio, spesso identificato con il serpente della Nigredo, o con il drago “venefico”, attraverso smembramenti e uccisioni simboliche cruente fino all’elemento aereo, la colomba, l’aquila, o “l’uccello di Ermete”, per giungere all’animale a sangue caldo, sempre attraverso elementi di sacrificio, come il lupo, il cane, il leone, la leonessa.
Il rapporto dell’uomo con queste immagini indica un progressivo senso di sviluppo della coscienza dell’uomo stesso. Solo la vivificazione del drago morto, però, potrà vedere la “fine” dell’Opera, che non è mai realmente finita e porta sempre ad un nuovo inizio. Dopo aver ucciso e smembrato il drago, l’Opus alchimistica porta resurrezione e nuova vita allo stesso. (nota 14)

Elementi di sacrificio e azioni di crudeltà nel rapporto uomo-animale, legati alla religione, pregnanti di contenuti simbolici, vengono spesso citati e trattati nel pensiero di Jung e degli junghiani per indicare la necessaria accettazione della trasformazione psicologica dell’individuo.
Ad esempio quando si parla del dio Mitra in “L’Uomo e i suoi simboli”. (nota 15) Il sacrificio, l’uccisione del toro è un simbolo universale che spiega la “popolarità che in molti paesi incontrano i combattimenti con i tori”, poiché evidentemente impregna ancora l’inconscio di questi popoli, ma, se spiega, non aiuta ancora a rendere cosciente l’archetipo per poter superare il comportamento collettivo.
Una “tradizione” si supera solamente quando molte persone cominciano a comprendere il senso e il non-senso di una serie di azioni. Questo è un procedimento lento che parte sempre dal singolo, come sappiamo, e che attraverso la trasmissione di emozioni e di significato amplifica la possibilità di un cambiamento concreto. Vediamo ad esempio come le voci contro la corrida siano giunte in alcune aree, nonostante da secoli fossero coinvolte in questa pratica, a porre in atto la domanda e anche a raggiungere qualche piccolo risultato.


Che cosa vuoi farci?

“Preferisco non sapere”. “Che cosa vuoi che si possa fare?”. “Perché pensare agli animali, quando tanti bambini muoiono di fame?”.  “Tanto non cambia…”
Di fronte alle scissioni del mondo occidentale sempre più in crisi la domanda che bestie siamo noi sorge spontanea.

Che bestie siamo?

La ricchezza degli animali è nascosta”, dice James Hillman. “Essi sono i portatori di un fuoco che non si vede e di una parola che non si sente o che non siamo più capaci di ascoltare. L’animale del sogno è il nostro benefattore segreto. Dentro di noi c’è un’intera arca di Noè che può parlarci dei nostri turbamenti profondi, delle nostre paure, ma anche della direzione in cui crescere, della speranza di cui nutrirci, della forza cui attingere per tornare a combattere quando siamo esausti per le dure battaglie della vita, dei valori etici per cui vale ancora la pena di vivere e di credere, nonostante tutto.

Nonostante tutto.
L’animale ci visita in sogno e speriamo che continui a farlo.
Ci allieta nella veglia e ci ricorda che al mondo non ci siamo solo noi.
Nonostante tutto.

Mi viene in mente un aneddoto molto noto, e ripreso spesso da chi si impegna nella protezione dell’ambiente, come ad esempio Manuela Cassotta, biologa impegnata nel sostegno di metodi alternativi alla vivisezione, fondatrice di un Blog con informazioni davvero complete ed esaustive contro le pellicce (http://biologiribelli.blogspot.com; www.felinesoul.com; http://pellicce.blogspot.com).
E’ un aneddoto che serve a dare un po’ di forza a chi si demoralizza di fronte ad imprese che sembrano titaniche, come titanico è il progetto di tutti i Noè, ovvero il proteggere gli animali e portare coscienza nel rapporto dell’uomo con le altre specie.
Un colibrì andava dritto verso l’incendio che devastava il bosco. Devi scappare dall’altra parte, gli dissero gli altri animali. Oh, no, io voglio fare la mia parte. Il colibrì porta una goccia d'acqua nel becco, una sola goccia, per spegnere l’incendio.
Ecco che cosa si può fare. Quasi nulla. Ma un colibrì ne tira un altro.
Sii tu stesso il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”.
Così come il processo di individuazione è un’energia che risveglia l’uno e si riflette sugli altri, anche le emozioni che nascono nelle persone di fronte alle azioni che alcuni compiono sono stimoli alla riflessione e al cambiamento.
I colibrì come Manuela si muovono nel mondo e su internet, aprono Blog per portare consapevolezza rispetto a temi forti quali la vivisezione, gli allevamenti intensivi, le pellicce e gli inserti di pelliccia.
Rispetto all’animale che siamo noi stessi, e agli animali che portiamo e che vogliamo portare sulla nostra arca di Noè in sogno, in fantasia, nella nostra coscienza, le persone come Manuela fanno anima mundi.
Ogni colibrì si impegna a fare perché sente che quello è il suo compito. Ogni Noè trasporta una coppia di ogni animale sulla sua arca perché quello è il compito che il Sé gli ha conferito.
Fossimo un po’ tutti colibrì e un po’ Noè…

Quanto è facile mangiare carne senza pensare all’animale che stiamo mangiando, vedere solo la confezione, il pezzo tagliato in macelleria: anche questo atteggiamento è perdere la bestia e il rapporto con la natura. Cosa vuol dire? Che dovremmo essere tutti vegani? Assolutamente no. Non è obbligatorio, e forse nemmeno auspicabile. Non possiamo tornare al giardino dell’Eden e dimenticare l’Ombra, poiché tutti abbiamo un’ombra.
Potrebbe suonare naif, ma l’anima a volte è naif: anche se non diventeremo vegani, dobbiamo ringraziare la bestia che ci offre la carne da mangiare. Scegliere di non abusare. Limitare i nostri consumi ed accettare la responsabilità dell’uccisione, che è anche nostra, se scegliamo di mangiare carne. Anche se non siamo cacciatori.

Non difendo la caccia soprattutto come sport, assolutamente, poiché la ritengo comunque un’apertura alla violenza, ma riconosco che il cacciatore rispetto al consumatore abituale di carne si assume, per lo meno, la responsabilità dell’uccidere.
Non delega ad altri.
Se tutti dovessimo cacciare la nostra “fettina”, molti di noi diventerebbero vegani per forza.
Conosco un vecchio cacciatore, ultraottantenne, che degli animali che ammazza non getta via niente ed è capace di mangiarsi anche gli occhi della bestia. Alla sua età cammina chilometri e chilometri nel bosco anche solo per sentire il bosco intorno a sé e diventa lui stesso quasi una bestia, parte del bosco.
Non è un modello, questo vecchio uomo. Discuto spesso con lui e non condivido soprattutto la sua rabbia contadina per le volpi e per i lupi.  
Molto diversi sono però i cacciatori della domenica, quelli “sportivi”, che non hanno nulla a che fare con ciò che intendo con accettazione della responsabilità della propria azione. Voglio dire che dovremmo riscoprire la nostra responsabilità individuale nell’uccisione dell’animale che finisce sulla nostra tavola, oppure scegliere di non nutrirci più con la carne altrui. Chi non è cresciuto in campagna o non ha parenti che vivono in una fattoria farà più fatica a sentire questi temi. Le informazioni sulla gestione degli allevamenti sono ovunque. Informarsi è possibile. La strada della consapevolezza è anche la riflessione sulla nostra parte in questa storia.

Dello spirito della natura

Quali sono gli dei e le immagini che ci vengono in aiuto?
Uccidere il drago simbolico, abbiamo visto, non basta.
Gli alchimisti suggeriscono che lo stesso, alla fine dell’Opera, debba essere vivificato. Vivificare il drago smembrato non significa identificarsi  con  la sua forza oscura; così come le dee madri stringono il serpente  nelle  mani, nel raggiungimento della pienezza alchemica sorge la capacità di "sostenere" la potenza dell'inconscio, dell'istinto animale in noi:  il drago va rispettato perché lui/lei è- ancora più dell'affine serpente ("daimon della psiche istintuale")-  la  nostra libertà fantastica e poliedrica,  il "daimon della nostra psiche immaginale", troppo spesso fatto a pezzi dall'Io eroico unilaterale. (nota 16)

Orfeo affascina gli animali con la sua lira.
Nel suo ruolo di buon pastore e di mediatore Orfeo compendia elementi della religione dionisiaca e di quella cristiana, in quanto sia Dioniso che Cristo presentano caratteristiche simili.
L’uomo dalle caratteristiche androgine è il dio dei misteri dionisiaci in comunione con la natura, e ha un’intima capacità di conoscenza del mondo animale e vegetale. Non è l’eroe solare ma lunare e solare. Non è più la sottomissione della natura che egli cerca, ma il rinnovato rispetto reciproco tra uomo e natura. Hillman sottolinea l'autonomia spirituale del dio fanciullo, il quale, oltre a racchiudere in sé stesso la ciclicità ritmica  della  natura, è portatore di “cultura” e “coscienza  Puer” non disgiunta dalla possibilità di “ricongiungimento Puer-Senex”.
Dioniso oltrepassa  la  morte,  supera  lo  stadio  di  ermafroditismo  e  travestimento decadente, va oltre la dissoluzione sessuale e giunge a Nasso. Qui incontra Arianna e la sposa senza pensarci due volte, ponendo poi tra le stelle la sua corona nuziale. Dioniso è serpe, leone,  toro,  capro,  cervo. Dioniso “è  anche Orfeo musicante, il Museo Osiride fatto a pezzi e poi ricomposto;  egli è il cretese Zagreo, figlio serpentino e cornuto di Persefone, il quale muore  e rinasce al ritmo delle stagioni. (nota 17)

Eugene Monick, nella sua ricerca sugli aspetti archetipici del fallo,  scrive: “Così, il maschile ctonio (fallo) e il femminile ctonio (utero), che insieme sono espressione di irrazionalità e orgia, si riuniscono nell'immagine di Dioniso.”
Monick riporta Karol Kerényi e scrive ancora: “Il dio  briccone (come Ermes o Dioniso) costituisce la fonte trans-personale di uno stile di vita e di un modo di sperimentare il mondo del tutto particolari...che trascendono la visione scientifica del mondo... Questo aspetto è estremamente reale e rimane nel regno dell'esperienza naturale... Solo a questo punto superiamo i confini delle esperienze  che si basano sulle impressioni sensoriali, ma non il confine di quelle che hanno un'indubbia realtà psichica.” (nota 18)  
Dioniso ed Ermes collegano gli opposti nell' inconscio “psicoide”, la “base dell'unus mundus” delle   connessioni universali; il dio cornuto rinnovato nel procedimento alchemico e individuativo giunge ad essere un accordo armonico, piuttosto che una dissonanza di generi indifferenziati o in lotta; egli rappresenta la “trasgressività sviluppata, legata all'Io”, il coraggio di essere nel Sé anche fuori dalle regole di del pensiero apollineo e solare. Dioniso è il “Libero” androgino,  colui che "possiede tutto ciò di cui ha bisogno";  è il fanciullo divino che  sorge  dai  resti  del  vecchio Io, il defunto Re alchemico distruttore, ed è il Cristo risorto come angelo e demonio, il Cristo apocalittico emerso da luce ed ombra. (nota 19)

Fare i conti con queste immagini, dunque, è urgente.

Se la figura espressa dall’ombra è caratterizzata da forze e tendenze vitali, queste dovrebbero venire assunte nell’esperienza effettiva, non represse.” (“L’Uomo e i suoi simboli”, pag. 175)


Note.

  1. L’Archetipo dell’Apocalisse. Archetype of the Apocalypse, Divine Vengeance, Terrorism and the End of the World, Edward Edinger, Open Court Publishing 2002; La Bibbia in lingua corrente, LDC ABU, Torino;
  2. Le culture dell’Apocalisse, Antologia di Pensiero Terminale, Adam Parfrey, Venerea Edizioni, Roma 2000;
  3. James Hillman, Animali del Sogno, prefazione.Raffaello Cortina Editore, 1991;
  4. Il diavolo – le forme, la storia le vicende di Satana e la sua universale e malefica presenza presso tutti i popoli dall’antichità ai  nostri giorni, Alfonso Di Nola, Grandi Tascabili Economici Newton 1994;
  5. Ricordi, sogni, riflessioni – Carl Gustav Jung, cap.III., Bur Saggi, Milano, ed. 2003;
  6. L’intelligenza ecologica, Daniel Goleman, Rizzoli, Milano 2009;
  7. I vizi capitali e i nuovi vizi, Umberto Galimberti, La Feltrinelli, Milano, 2003;
  8. http://pellicce.blogspot.com e innumerevoli altri siti, compresi LAV e LEAL,  e innumerevoli Blog;
  9. Nel 2010 la Nestlè ha dichiarato di non voler più “decimare gli oranghi”, dopo l’uscita del video di Greenpeace, www.youtube.com/watch?v=iv5jsSkJqbA non acquistando più prodotti nelle zone chiave; nell’anno successivo si riportano ancora diversi casi di uccisioni di animali;  
  10. intervista a Luigi Zoia di Paolo Bartolini, 25 Novembre 2012: “La crisi e l’inconscio mito della crescita infinita” su www.megachip.info
  11. La Genesi, in: La Bibbia in lingua corrente, LDC ABU, Torino;
  12. Lèvy-Bruhl, concetto ripreso da jung nei termini di inconscia identità con le cose da parte dei primitivi. “Recentemente questa idea è stata rifiutata dagli etnologi, in parte con la motivazione che i primitivi sarebbero in grado di operare assai bene distinzioni tra le cose. Ciò è incontestabile, ma non si può nemmeno negare che cose tra loro incommensurabili possano possedere presso i primitivi il medesimo incommensurabile tertium comparationis. Si pensi solo all’applicazione onnipresente del mana, al motivo del lupo mannaro, ecc.” pag. 238, Mysterium Coniunctionis, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino;
  13. Nota 317, pag 348 MC: “Essi (gli alchimisti) incominciano quindi la loro opera con l’ascesa, e la completano con la discesa, che riunisce l’anima liberata (aqua permanens) al corpo morto (purificato).”
  14. In: Mysterium Coniunctionis;
  15. L’ uomo e i suoi simboli, pag. 146, Joseph L. Henderson, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1990;
  16. Note 16 e 17, argomenti della mia tesi di laurea: “L’androgino femmina dal caos all’uno, percorsi di trasformazione alchemica.”
  17. A proposito dell'eroe alchemico che smembra e rivivifica il drago vedi:  J. Hillman,  Saggi sul Puer  (pag.113 seg.  La grande madre, suo figlio, il suo eroe e il Puer); Eugene Monick,  Phallos  (pag.69 seg. e 113 seg.); Robert Graves,  I miti greci  (pag.46 seg., pag.91, seg., pag. 93-105); J. Hillman; Eric Neumann,  La psicologia del femminile  (pag.56); C.G. Jung,  Lo spirito Mercurio. 
  18. L’Uomo e i suoi simboli”, pag. 175.